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domenica 1 febbraio 2015

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

“Parlerò affinché la spada della Parola di Dio anche per mezzo di me arrivi a trafiggere il cuore del prossimo. Parlerò affinché la Parola di Dio risuoni anche contro di me per mezzo di me”. (Gregorio Magno, da Omelie su Ezechiele 1, 11) 


Libro del Deuteronomio 18,15-20.
Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto.
Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia.
Il Signore mi rispose: Quello che hanno detto, va bene;
io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò.
Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto.
Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dei, quel profeta dovrà morire. 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 7,32-35.
Fratelli, vorrei che voi foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;
chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,
e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.
Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni. 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,21-28.
Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare.
Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.
Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare:
«Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio».
E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo».
E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!». 



Deuteronomio è il quinto libro del Pentateuco dopo: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri. Raccoglie, per gran parte delle sue pagine, i discorsi di Mosè pronunciati soprattutto nella pianura di Moab, di fronte a Gerico, il “catino di Dio”, come recita un salmo.
Il profeta pronuncia i suoi sermoni, esortando il popolo a osservare i Comandamenti e a insegnarli diligentemente ai figli. Il grande appello del Deuteronomio è di amare Dio, che tanta bontà mostra al suo popolo. In questo brano,
Deuteronomio parla della presenza necessaria della Parola di Dio in mezzo al popolo e dell’importanza capitale del profeta, di colui il quale porta il messaggio divino agli uomini del suo tempo.

Profeta non è colui il quale predice il futuro, come si è portati a credere, ma è chi presta la sua bocca a Dio, il portavoce della Parola attraverso la predicazione. 
La presenza del profeta è anche scomoda! Spesso svela il male dei cuori, denuncia, accusa. Qualche altra volta, l’oracolo del Signore in realtà approfitta del suo ruolo e della sua autorità, mettendosi al servizio degli altri e di se stesso, abbandonando la vera “Voce”, quella di Dio.
È comunque un segno privilegiato della presenza del Signore che prende l’iniziativa, che vuole rimanere in dialogo con il suo popolo e fa sorgere in seno alla comunità per Sua azione diretta, uomini ispirati:
 “Il Signore tuo Dio susciterà in mezzo a te un profeta”. (v.15). “Io gli porrò in bocca le mie parole” (v.18).

E adesso attualizziamo la Parola per noi! In un mondo assuefatto al vento delle opinioni e al corto respiro della quotidianità, Dio sembra fuori gioco.
Come può il profeta annunciare la salvezza? E chi è il profeta? È un volto qualunque, uno dalla storia banale, un cuore grande, un partigiano del Creatore, appassionato della sorte dell’uomo. È un individuo capace di indicare i sentieri della vita, di suscitare speranza, di dare un supplemento d’anima a tutto ciò che esiste, che porta con se una lucida coscienza della verità, che gli dona il coraggio di denunciare le ingiustizie e smascherare le ipocrisie.
IL PROFETA PER ECCELLENZA, OGGI, E' PAPA FRANCESCO CHE CI PARLA PER BOCCA DI DIO.  

E se fossimo anche noi i chiamati a essere profeti e a portare la Parola agli altri?
Suscitato dal Signore nei frangenti più tumultuosi della storia, con la venuta di Cristo, è profeta ogni battezzato chiamato a essere sale e luce della terra! Sappiamo ascoltare Dio che ci parla? Lottiamo con la preghiera quotidiana e l’assiduità nella Parola, per avere una fede salda e annunciare la buona notizia?
 La profezia ha il suo nemico nell'anonimato. Siamo noi quelli che rinunciamo al ruolo di portavoce divino per vivere nel nostro rassicurante guscio, lontano dagli altri fratelli, il cui destino non ci interpella. Siamo di quelli che non abbiamo tempo e attenzione da dedicare ai fratelli? Seguiamo, si o no, l’invito di Cristo a:
 “Gridare dai tetti quanto è ascoltato all'orecchio” (Lc 12, 3) e a “rendere ragione della speranza” (1Pt3,15)?

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ai Corinzi. inizia col dire che desidererebbe per tutti una vita serena così da poter aderire con fede al Signore. Chiaro che la scelta del celibato è un modo più semplice per consacrarsi a Dio. Ciò non significa che Paolo disprezzi la vita matrimoniale né che ci siano ideali di santità diversi tra sposati e celibi. Non è che soltanto nella vita del celibe si intrecci l’appartenenza al Signore. La vita matrimoniale è causa inevitabile di qualche tensione, spiega l’apostolo, che rende più difficile rapportarsi con Dio.
È indubbio, al contrario, che qualche volta, l’asprezza della vita in comune con coniuge e figli, può aiutare di più ad affidarsi alle mani premurose del Padre Celeste. Paolo non intende “gettare un laccio” (v.35), solo illuminare le coscienze su cosa è conveniente per restare uniti al Signore senza distrazioni. Sia che la vita si indirizzi verso il celibato che nella famiglia, la preoccupazione principale deve essere “piacere al Signore”.
 Questo vale per tutti. Lo sposato/a piace al Signore, solo se adempie al dovere di attenzione verso i cari. Con loro condivide il cammino di vita perché sono dono di Dio che si accoglie nella gioia.

Nel Vangelo di Marco iniziano gli insegnamenti di Gesù nelle sinagoghe della Galilea, dove insegna e desta stupore per l’autorevolezza della sua dottrina. (Marco usa la parola insegnare per 15 volte e insegnamento per 5).
Gesù non interpreta la legge ma è Lui la legge, quella nuova che chiede “amore”. La sinagoga era una grande stanza rettangolare con un armadio per i codici della Bibbia e il pulpito dal quale leggerli e commentarli. Proprio in una di queste sinagoghe, quella di Cafarnao, accade il primo miracolo, un esorcismo e la conseguente reazione incredula della gente: “Che è mai questo? Una dottrina nuova! Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono”. (vv21- 28). Le parole di Gesù hanno del sorprendente, niente a che vedere con i sermoni ammuffiti degli scribi. Lui spiega le Scritture come “maestro di vita”.
Le sue sono profezie e non insegnamenti sapienziali, frutto di studi. È un’irresistibile autorità! Cafarnao viene scelta in quanto città di un certo prestigio politico e religioso. Il segno avviene di sabato, giorno sacro per gli Ebrei, come festa della lode e del ringraziamento per la liberazione della schiavitù d’Egitto. Al centro dell’episodio è la guarigione del malato. Il racconto dell’esorcismo colpisce. Gesù rimane quasi in silenzio. Pronuncia il suo “Taci, esci” al demone per far capire che ha il potere su tutto e tutti. Il diavolo riconosce in Lui un personaggio straordinario e unico con: “Io so chi tu sei: il santo di Dio!”.
La guarigione dell’indemoniato non è tanto importante per rimarcare le virtù taumaturgiche del Cristo, ma è lo è soprattutto per il messaggio che porta: la vittoria di Gesù, nostro unico bene, sul male. Il male cerca di intimidire anche noi come accade per Gesù. Ogni cristiano deve saper reagire al demonio che cerca di spiazzare chiunque annullando la dignità delle persone e la loro libertà. Marco esorta a non prendere sottogamba il male. Affrontiamolo, rivestendoci dell’autorità che ci viene da Dio.
Abbiamo la certezza di avere la sua presenza accanto a noi e di essere stati creati “poco meno inferiori a Dio”. Essere certi di questa grandezza non è superbia, essere alteri. È, invece, l’essere consci di un amore divino grande anche se immeritato.