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martedì 23 dicembre 2014

Natale: storia senza tempo!

La piccola chiesa è gremita fino all'inverosimile.
Stipati, in ogni ordine di posti, ci sono proprio tutti: il macellaio, l’assessore comunale, l’erbivendolo, l’emigrante che ha fatto soldi in America, il pastore…
il coro di voci bianche intona canti natalizi accompagnati dal vecchio organista.
I chierichetti in tunica rossa e cotta bianca, fieri di poter essere sul presbiterio, si muovono sinuosi; fanno oscillare il turibolo, spandendo fumi variopinti d’incenso profumato.
Il vecchio parroco sull'altare sembra avere il sorriso soddisfatto di chi ama la chiesa colma. Ai piedi dell’officiante un piccolo presepe dove ci sono tutti, da San Giuseppe, alla Madonna, dal bue all'asinello.
Manca solo il Bambino che presto arriverà…

Vi racconto di un Natale che non c’è, magari in una Teramo immersa non più nella gioia continua in attesa della Luce del mondo, ma nell'indifferenza e nell'ansia del consumismo sfrenato di uomini che sentono sempre più il bisogno di recitare il Natale, con sempre meno Natale dentro di loro.

Vi propongo una storia senza tempo di una meravigliosa festa che unisce i Vangeli a tradizioni e cultura.
Un tempo lontano, quando lungo Corso De Michetti a Teramo risuonavano le dolci melodie degli zampognari con ciaramelle e cornamusa, i loro mantelli a ruota, i polpacci stretti nelle liste dei sandali, venuti dai monti a rallegrare gli animi in attesa dell’Eterno che si fa neonato nel mattino della vita.
Lo scrittore Fernando Aurini li ricordava in un suo scritto, davanti al piccolo portale di Santa Caterina in corso Cerulli a Teramo, mentre Don Vincenzino Santarello, tra nubi d’incenso, intonava il “Tantum Ergo” al quale rispondeva il coro biascicante delle “bizzoche”, avvolte in grandi fazzoletti sul capo. Pare ancora di vederli i bambini, avviluppati nelle loro sciarpe e nelle mantelline, con gli occhi assonnati ma sgranati per la curiosità antica, i nasini all'insù rossi per il freddo, felici di assistere alla veglia natalizia alla quale mai si sognerebbero di mancare.
Come dimenticare sotto le cappe, l’accensione dei ceppi di legno presenti in ogni casa, a scongiurare tempeste e malefici, simbolo del fuoco davanti al quale la Madonna asciuga le fasce del Bambino? 
Che bello sarebbe ritrovarsi attorno al focolare, recitando un rosario e raccontando storie di un tempo che fu, mangiando noci e lupini con vino novello.
Il capofamiglia, piace immaginarlo ancora lì, all’ora di messa, che tira da parte la brace, spazza la pietra del focolare, con dodici chicchi di grano, quanti sono i mesi dell’anno, a leggere il bene e il male, i buoni e cattivi raccolti.
La mamma intenta ancora a preparare gli asciugamani di canapa e lino e i filati per gli usi della chiesa, che entravano, nella notte santa, nel corredo parrocchiale.
Se guarderemo bene sulle tavole, amici miei, forse troveremo le famose nove portate, in memoria dei mesi di gestazione di Maria: i fedelini con sarde e tonno, la zuppa di cavolfiori, lenticchie, fagioli, ceci, l’anguilla, il baccalà, i fritti di verdura, la frutta, i dolci a base di mandorle e fichi, i taralli, le neole, i calgionetti, la pastuccia di fichi secchi, olio, zucchero. E se tenderemo l’orecchio verso le dieci di sera della notte magica, insieme al festoso scampanio delle campane ascolteremo anche spari di mortaretti e campanelli gioiosi di ragazzi alla luce delle fiaccole, che grideranno di porta in porta che è ora di messa.

Altri tempi cari lettori! O forse no!
L'atmosfera e il mistero del Natale sono fra le poche cose che hanno serbato intatto nel corso dei millenni il loro incanto e la loro poesia. Basta saper percepire ancora i profumi e la magia e condividere tradizioni e leggende.
Non facciamo scomparire usanze antiche ma belle! Riscopriamo il Natale di un tempo!
Le ansie per concepire in casa un presepe che sia più bello del precedente anno; la ricerca di pietre sulla riva del fiume, di sugheri, legni, stagnola, cartoni, per creare tutta l'ossatura del favoloso teatro; l'apparato di monti, valli, anfratti, gole, grotte, quasi una nuda creazione di uno spicchio del mondo che deve rimanere integro negli anni che passano inesorabili.

Che gioia scoprire tutti di nuovo coinvolti da questo momento magico. Rendiamo di nuovo possibile toccare con mano lo spirito di solidarietà e di amicizia. Torniamo a far sì che la Notte di Natale riacquisti la dignità di ricorrenza più attesa e sognata, di simbolo dell’unione familiare. Auguri!

sabato 20 dicembre 2014

IV DOMENICA DI AVVENTO: CICLO B

II Samuele 7,1-5.8b-12.14a.16; Romani 16,25-27; salmo 88; Luca 1,26-38 

Dal secondo libro di Samuèle: 
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all'intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa". 

Dal vangelo secondo Luca: 
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. 

Il cammino di attesa del Natale è giunto quasi al termine.
Il racconto dell’Annunciazione sembra volerci proiettare verso il grande mistero dell’Incarnazione. Due i temi fondamentali del Vangelo di Luca: l’annuncio della nascita di Gesù e la grande umiltà della Sua serva, Maria l’ancella del Signore. La Vergine accoglie con serena fermezza il gravoso compito affidatole, magari senza neanche comprenderlo pienamente, ma fiduciosa nella parole di Dio trasmesse dall'Angelo.
La prima meditazione è proprio questa: a volte non comprendiamo cosa ci accade nella nostra giornata, non apprezziamo l’intervento di Dio su di noi, non lo capiamo e non siamo fiduciosi che sia tutto per il nostro bene.
 È proprio l’opera di Dio, la Sua fedeltà, il Suo amore per l’umanità al punto di donare il Suo unico Figlio, al centro della liturgia della Parola. Non possiamo però mancare di contemplare l’atteggiamento di Maria che con il suo “si” rende possibile il disegno di Dio, abbandonandosi, lei si, al disegno divino. Senza Maria, non possiamo conoscere pienamente e amare con forza il nostro Dio! È per mezzo di Lei che riceviamo la grazia divina per vivere da Figli. Maria ci porta a Dio e nel contempo porta a noi i doni dell’Altissimo.

Riflettiamo anche sul contesto della nascita del Salvatore: il luogo è la Galilea, regione di confine ritenuta quasi pagana e comunque vista come una terra non ospitale, la città, Nazaret, di dubbia fama e dalla quale si riteneva non potesse mai venire qualcosa di buono, come si scopre nel vangelo di Giovanni 1,46.
Proprio qui vive Maria, ragazza vergine, promessa sposa a un carpentiere di parecchi anni più grande di lei. È in questo contesto di totale marginalità che nasce il Re del mondo.
Per capire bene la grandezza di Maria, piccola creatura dal cuore grande, la Chiesa contrappone, nella prima lettura, tratta dal Secondo Libro di Samuele, la figura del re Davide.
Il condottiero è la figura dell’uomo che ha sogni di grandezza, che desidera occupare nella società la posizione adatta a influire nei grandi progetti umani.
La presenza di Davide nelle letture di oggi è affermazione della nascita di un Bambino che sarà grande come lo è stato il re Davide, non in senso relativo ma in assoluto l’“Altissimo”,
Colui che riceverà il trono di Davide suo padre e il cui Regno che non avrà mai fine. Il sogno ricorrente di Davide, alla fine della sua vita, è di realizzare un grandioso tempio, degna casa per il suo Dio. Non capisce subito che non è il suo sogno che deve realizzarsi ma quello di Dio. Ecco il senso delle parole: “Il Signore farà a te una casa”.
Sarà Davide a entrare nel progetto di Dio e non viceversa. Dio glielo afferma attraverso le parole del profeta Natan.

Cosa ci insegna questa lettura?
Non sono gli uomini che possono costruire una casa a Dio, è solo Lui che può garantire a ogni creatura un’esistenza felice e questo in ogni tempo!

La liturgia ci presenta anche il finale di lode, l’inno sontuoso della Lettera ai Romani. Paolo riafferma che Dio ha il potere di confermarci, cioè donare stabilità alla nostra fede, Lui che è anche il fine di ogni pensiero umano, l’unico davvero sapiente. Il mistero taciuto per secoli eterni, è il progetto di Dio che manda a noi il Figlio.
Lui solo è il centro della nostra salvezza annunciato alle genti attraverso la Parola. Solo in Lui possiamo davvero esplodere nel canto del Salmo 88 e dire: “Tu sei mio Padre, mio Dio e roccia della mia salvezza …”.
L’Apostolo afferma che è ormai giunto il tempo di rivelare a tutte le genti ciò che è stato annunciato dalla Scritture, che la salvezza è offerta a tutti gli uomini. Cosa ci insegna questa lettura? Non possiamo vivere il Santo Natale per noi.
Abbiamo il dovere e il mandato di rivelare agli altri, nei modi possibili, che Gesù nasce non solo a Betlem ma nei cuori di tutti quelli che l’accolgono in buona volontà.

Meditando:
La Parola suscita il confronto interiore. Cosa dice a me, a noi? Anche noi spesso cadiamo nell'errore di voler imporre la nostra volontà, con calcoli umani e lontani dal desiderio di realizzare ciò che Dio ci chiede. Siamo capaci di lasciarci plasmare, nella nostra vita, dai progetti celesti? Oppure sperimentiamo la nostra difficoltà di essere fedeli servi come Maria?
Tutti noi abbiamo sperimentato un insuccesso nella vita. Siamo stati infedeli e deboli rispetto allo scopo prefissato. Poi abbiamo capito che anche nelle delusioni c’è possibilità di crescere. Non crediamoci i padroni della vita ma affidiamoci alla volontà di Dio. Pregando: la Parola interiorizzata diventa dialogo con il Signore. Cosa dico?
Diversamente da Davide è Maria, che pronuncia la frase della redenzione umana: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo le tue parole”.
Preghiamo il Magnificat, pensando alle tante meraviglie che ancora oggi il Signore opera nella Chiesa, nella storia e nella nostra vita. Il saluto dell’Angelo: “Il Signore è con te” è anche per noi.
Nel nostro cuore Dio Padre, con la forza dell’amore svolge il suo progetto per noi. Chiediamo allo Spirito di pronunciare il nostro “si faccia di me quello che hai detto”, non con la rassegnazione di chi sa di non poter contrastare un Dio, ma con la certezza che il Signore opera per il nostro bene perché è fedele, è la roccia capace di dare stabilità alle nostre vite.
Chiediamo al Signore di farci essere docili al suo volere, di essere in comunione con Lui, di trovarci felici nella condizione di servi come lo sono stati Davide e Maria, ma anche Abramo, Mosè, i santi e soprattutto il Figlio!

Per la contemplazione personale: 
Dio parla al nostro cuore. Dovremmo ripetere e, soprattutto vivere la Parola: “Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te”. Imitiamo la Vergine che concepisce, accoglie e genera il Verbo. Ciò che è avvenuto in Maria deve avvenire anche in noi. “Busseremo alla tua porta e, se ci aprirai prenderemo dimora in te” dice il Signore nell'Apocalisse.

Per la nostra preghiera personale: 
Signore, “se alle tue creature togli lo spirito muoiono e ritornano nella polvere; se mandi il tuo Spirito, sono create e rinnovi la faccia della terra”. (Salmo 104,29-30) Manda su noi lo Spirito Santo, o Signore, lo stesso che scendendo su Maria, con la potenza dell’Altissimo, ha generato al mondo il Verbo della vita.

mercoledì 17 dicembre 2014

Il valore ecumenico del presepe

Da alcuni anni, in gran parte delle scuole di Teramo e provincia si usa preparare un grande albero natalizio nell'atrio dell’edificio, ignorando il presepe e non valutando che l'abete agghindato a festa non rappresenta la nostra cultura, essendo tradizione proveniente dal nord Europa.

Ricordo con tenerezza che nella mia infanzia, la preparazione della rappresentazione della nascita di Gesù nelle scuole iniziava nel mese di novembre.
Ognuno degli studenti, con le proprie famiglie, dava il suo contributo affinché il presepe realizzato nell'Istituto risultasse il più bello o il più grande della città.
La rappresentazione della nascita di Gesù, costituiva, insomma, la festa nella festa.

Oggi molti presidi e insegnanti giustificano l’abolizione di questa grande intuizione di San Francesco a Greccio, affermando che i giovani sono ormai smaliziati e poco si interessano a queste “forme arcaiche di devozione”.

Un presepe a scuola potrebbe, secondo alcuni educatori moderni, urtare la suscettibilità degli studenti musulmani o di coloro i quali sono nel pieno diritto di non credere alla Buona Novella dell’Avvento del Salvatore.
Per rispettare e dimostrare sollecitudine verso le minoranze, insomma, per favorire un equilibrio culturale, tutelare la laicità, la neutralità religiosa e proteggere le differenze da integrare, dovremmo buttare secoli di tradizione di canti natalizi, stella cometa, divino Neonato, pecorelle e pastori.

E se, invece, con uno sforzo unitario, ribaltassimo il concetto e affermassimo che il Natale, grazie al presepe, ha buone possibilità di creare una festa condivisa sia dai cristiani che dai musulmani?
Se cominciassimo dalle nostre piccole realtà a formare le menti all'ecumenismo?
Potremmo tener conto anche dei momenti importanti per questi nostri fratelli e condividere anche le loro feste religiose.

E allora sarebbe barbino affermare che tutto potrebbe iniziare proprio dalle scuole? In questo caso il Natale diventerebbe un momento straordinario di condivisione spirituale, di partecipazione religiosa e di intesa umana fra diverse religioni.
Gli insegnanti potrebbero organizzare dei convegni dove tutti insieme, musulmani, non credenti, cristiani e fratelli con altro Dio in testa, potremmo discutere di come raggiungere il traguardo di una comune civiltà dell’uomo e del rispetto dovuto in quanto tale.

E quale sede istituzionale ideale potrebbe risultare migliore della scuola, deputata come nessun altra, a forgiare le menti e l’animo di coloro i quali un giorno rischiano di cadere preda di intolleranza nei confronti di altri uomini?

sabato 13 dicembre 2014

III DOMENICA AVVENTO: CICLO B

Isaia 61,1-2°.10-11; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28 
 “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio”.

Dal libro del profeta Isaia 
Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; 
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, 
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, 
la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore. 
Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio ... 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 
Fratelli, state sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. 
Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. 
Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione ...

Dal Vangelo secondo Giovanni 
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. 
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. 
E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. Gli dissero dunque: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. Giovanni rispose loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. 

La domanda da porsi preliminarmente è: Diamo la giusta importanza alla venuta del Cristo nel mondo?.
Se lo facessimo davvero, allontanando da noi tutta il terribile sfruttamento mediatico e commerciale del Natale, potremmo dire di essere davvero nella gioia.
È, infatti, la domenica della gioia!
Il Signore è vicino e la Chiesa ci invita a pregustare la gioia del Natale.
Tutta la liturgia è tesa alla comunicazione della felicità per l’incontro ormai prossimo con il Salvatore.
Se dovessimo condensare in tre atteggiamenti la nostra preparazione all'evento della nascita di Gesù dovremmo guardare attentamente alla seconda lettura di Paolo che suggerisce le parole: gioia, preghiera e gratitudine.

Cercheremo di comprendere il significato profondo dell’invito alla gioia che non è soltanto personale ma che deve essere esteso a tutti attraverso di noi, testimoni di luce tra le tenebre e la tristezza che non mancano in questo mondo.
Ecco, subito, l’annuncio vitale del Vangelo di Giovanni, primo capitolo: il Battista non è soltanto una figura ascetica, concetto sul quale si soffermano molto i Sinottici, ma è un testimone e lo sarà fino al martirio. Giovanni dopo il prologo, narra di sette giorni di Gesù, in cui nell'ultimo, il settimo, si racconta della testimonianza del Battista.
L’allegoria appare chiara: sette sono i giorni della creazione e della sua luce, raccontata da Genesi,(1,3), sette i giorni narrati e nell'ultimo si testimonia della Luce che invade i cuori degli uomini come in una nuova creazione!
Il più “grande dei profeti in terra”, ai sacerdoti e i leviti, inviati dai farisei di Gerusalemme per indagare, attesta che non è lui il Cristo che salva, non è neanche Elia redivivo.
È soltanto “voce di uno che grida nel deserto”, ricordando le parole di Isaia.
La missione del profeta provocava perplessità, qualcuno lo credeva il Messia, altri un facinoroso, anche un tantino pericoloso.
Ecco il senso della commissione di esperti, inviati per capire il senso della vita austera di quest’uomo. Anche noi, dando forte testimonianza ad un mondo distratto e peccaminoso, corriamo il rischio di non essere capiti, di essere visti come persone assurde.
 La sua testimonianza va fino all'estremo quando proclama le famose parole:
“Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io diminuire”.

Gioia e testimonianza, gioia che viene dalla testimonianza! il grande significato di questa domenica? Siamo invitati ad esultare perché ci è stato affidato il grande onore e onere di testimoniare la Luce che viene nel mondo.
Dobbiamo testimoniare ma senza inorgoglirci, nell'umiltà di chi sa di essere servo inutile e di essere destinato a diminuire.
Prendiamo esempio da Giovanni Battista. La sua è abnegazione totale. Negare se stesso è condizione irrinunciabile per fare posto al Signore.
In questo Natale cerchiamo di fare vuoto in noi stessi per perché ci sia spazio per il nostro Creatore. Giovanni Battista sembra dirci che il nostro istinto e bisogno di salvezza, cioè pienezza di vita, di pace e di gioia, è possibile solo in comunione con Dio.
Ecco il senso dell’invito a “preparare la via del Signore”, ad aprire le porte dei nostri cuori.

La prima lettura tratta dal Libro di Isaia, capitolo 61, è famosa anche perché i primi versetti di questo oracolo, in cui il profeta parla in prima persona come se ricordasse la sua personale vocazione, verranno poi proclamati da Gesù agli allibiti farisei della sinagoga di Nazaret.
Le parole fanno intendere chiaramente, da parte di chi le pronuncia, che è colmo di Spirito Santo.
Lo capiamo bene grazie a due verbi: “Mi ha consacrato” e “mi ha inviato”.
Cinque secoli dopo, Gesù dirà che la salvezza annunciata da Isaia ora diventa possibile grazie alla Sua venuta. Niente è impossibile a Dio. La missione del Salvatore ha lo scopo di “fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri …”. La gioia del profeta prorompe contagiosa nella domenica del “gaudere”! “Io gioisco pienamente nel Signore”. E l’antifona dì’ingresso fa l’eco: “Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi sempre. Il Signore è vicino”. (Fil 4,4-5).

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ai Tessalonicesi, ma anche a noi, suggerisce come attendere la venuta del Signore.
Gli atteggiamenti che dovrebbero essere abituali, ora sono indispensabili: gioia, preghiera e rendimento di grazia per i tanti doni e benefici ricevuti nella vita. In frasi semplici ma di grande profondità, l’uomo di Dio ricorda come deve essere la vita quotidiana del discepolo. È necessario vivere nella luce di chi attende il Redentore, cercando la volontà di Dio, non spegnendo lo Spirito, con grande impegno incessante, combattendo la “buona battaglia” con la preghiera perseverante che ci fa entrare in profonda relazione con il Signore. Viviamo quindi la Parola di questa domenica ripetendoci spesso le parole di Isaia 61,10: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio”.

Nel Regno del Signore non può mancare la gioia perché un cristiano triste perennemente non è tale. La vita cristiana è beatitudine che non si smentisce mai.
Frequentiamo quindi con assiduità il Vangelo, la buona novella che ci viene donata e preghiamo lo Spirito di venire in noi e farci diventare gioia, preghiera, ringraziamento e carità.

Per la contemplazione personale:
Quasi tutti gli uomini vivono di apparenza. Vorremmo sembrare quello che non siamo, migliori degli altri, più bravi, più belli, più intelligenti, più … più … In verità vorremmo sempre essere al di sopra degli altri, punto di riferimento per tutti e questo ci dona tutt'altro che la pace desiderata. L’esempio del Battista è fulgido: “Io non sono”, dice a chi gli chiede di affermare la sua personalità. Anzi … “non sono degno di slacciare i lacci dei calzari …”.
Utilizziamo il seme dell’umiltà e diciamo anche noi: “Non sono”!
Riempiamo la nostra vita di atti di umiltà, evitiamo di voler apparire, mettendoci nelle retrovie della vita. Fai che impariamo dal Battista a vincere l’orgoglio perché solo così possiamo preparare la via alla Tua venuta. Amiamo davvero i nostri fratelli, doniamo noi stessi agli altri anche solo con un sorriso, con un gesto. Avremo in cambio pace del cuore, beatitudine dell’anima in eterno.

giovedì 11 dicembre 2014

Il male dell'uomo di oggi

Premetto che fin da piccolo, ho provato un forte amore per la natura.
L’ho sempre vista come un mistero a cui accostarsi con rispetto.
Crescendo e passeggiando, a volte anche da solo, per boschi e valli, mi sono sentito affascinato.
Ho cominciato a pregare in mezzo alla natura, davanti a una roccia particolare, un tramonto o un’alba, un torrente o una vetta innevata.
A volte mi è accaduto di sentire vicino a me, quel Dio a cui anelo, molto più in ambiente che all'interno delle quattro mura di una chiesa.
Mi sono così convinto che amare ogni aspetto della natura aiuta ad amare il Signore.

 Premesso questo, vengo al dunque:
credo che il problema di questa nostra epoca sia la mancanza di contemplazione.

Qualcuno si chiederà cosa sia, in effetti, una contemplazione.
Penso si possa spiegare questa parola in semplicità, dicendo che contemplare è il trasportarsi verso una diversa dimensione, un gradino più in alto della vita di ogni giorno.
Badate che, per essere contemplativi, non occorre essere cristiani e non è una prerogativa unicamente di pochi mistici.

Mi spiego meglio: per l’uomo attuale la natura è e sarà, fino alla sua morte, una risorsa da sfruttare. Per chi riesce a contemplare la bellezza del creato e a carpirne il valore incommensurabile che ha, avrà sempre un approccio rispettoso e amante della natura.
Nel contempo, sono sicuro che sarà un individuo pronto a soffrire e a morire per valori irrinunciabili come onestà, giustizia e amicizia.

Se aprissimo le pagine della Bibbia, troveremmo messaggi di amore universale che diventa una vocazione umana da realizzare verso uomini e natura.
Guarda caso, troviamo identici messaggi anche nel Corano e in altri testi fondamentali di religioni varie.
Trovate il tempo per leggere il primo libro della Bibbia, Genesi.
L’uomo viene descritto come colui che ha cura di tutto e non il “dominatore dell’universo” come qualcuno crede di se stesso.
Leggete brani del profeta Isaia e troverete molti oracoli destinati alla perfetta armonia del creato, in cui lupo e agnello dimorano insieme e i bambini, accanto a leoncelli, mettono le mani nelle tane dei serpenti senza essere morsi.

Mettiamocelo bene in mente: non raggiungeremo mai l’amore per Dio se non ameremo la sua creazione.
E anche per chi non crede, attenzione, se non si ama la natura non si amerà abbastanza se stessi e non si troverà pace!
E non è neanche possibile dire: “amo gli animali ma non sopporto gli uomini ….
Luoghi comuni di persone che cercano di giustificare il loro essere chiusi in se stessi, in un crescendo di egoismo.
Se non si ama i propri simili come si può credere di amare il resto?

In definitiva, se guardiamo ogni creatura con occhio contemplativo capiamo che chi l’ha creata, cioè Dio, è infinitamente più bello!

mercoledì 10 dicembre 2014

L'Avvento, occasione d'oro per ricominciare!

Per sant'Agostino “la vita è ginnastica del desiderio. Facciamo dell’Avvento un ristoro per l’esistenza e l’anima! 

“Ricominciamo”!
 Più che cantare, gridava così Adriano Pappalardo, cantante meteora dei favolosi anno’70, quello che urlava sulle note e strabuzzava gli occhi mentre sembrava voler mangiare il microfono che aveva davanti.
Ho voluto scrivere questo articolo per dire: Basta facce segnate, impaurite!

La realtà di chi ha il dono della fede, è sempre positiva.

L’Europa, ha detto Papa Francesco, non deve ruotare intorno all'economia ma intorno alla sacralità della persona umana.
Come siamo arrivati in questo mondo d’oggi, a calpestare la dignità delle persone, sia di quelle che lavorano che dei milioni di disoccupati, io lo so perfettamente.
Abbiamo, purtroppo, abbandonato l’idea di un Dio che ci cammina accanto.
L’uomo di oggi, nella maggior parte dei casi, è immerso nella superbia, nell'ipotesi migliore nella inquietudine e nella convinzione che nulla cambierà mai.
Siamo ormai fragili cocci di terracotta, annoiati, deboli e anche privi di interessi, direi indifferenti al dono della vita.

C’è anche un’altra categoria di persone che, meditando la conversione di San Paolo, sulla via di Damasco, crede di potersi salvare in maniera fatalistica, per intervento divino.
Pensano che prima o poi Dio manderà, come gocce di pioggia, la fede sul capo di ognuno di noi. Lo Spirito scenderà sulle teste, come nuova Pentecoste individuale.
Il Signore, amici miei, esige l’intervento di ognuno di noi.
La fede non è una folgore che ti colpisce senza che tu faccia niente.
San Paolo, quando cadde da cavallo, diventando momentaneamente cieco, conosceva il Dio dei cristiani, ci credeva a modo suo, ma il Signore era già insinuato nel profondo delle sue membra. Occorre metterci in cammino senza ansie e non attendere, da lassisti, un pacco dono per il Natale con sopra scritto: “Fragile! Contiene fede”.
Magari ci sarà anche qualcuno che pensa a un disguido postale per il pacco che tarda ad arrivare.

Capiamoci bene: Inutile attendere le luminarie, distribuire regali a destra e a manca per regalarsi un Natale gioioso se non iniziamo una revisione completa della nostra miserabile esistenza fatta di indifferenza per gli altri. Mettiamoci in cammino!
Accogliamo a braccia aperte chi può donarci gioia, salvezza, senso della vita. Non affidiamoci sempre alla casualità assoluta.
Determiniamo noi stessi quello che saremo per il resto della nostra povera vita!
Negli squarci di vita quotidiana apparentemente banali che scorrono sotto gli occhi, cerchiamo di accorgerci di quelle cose piccole che rendono significative le nostre ore su questa terra. Chiediamoci chi ci dona tutto questo.
E non fermiamoci al solito luogo comune di un mondo che sta cambiando, dove non esistono più certezze né ideali, dove ferite e lacerazioni provocano smarrimento e scetticismo per il futuro. Combattiamo questo non ricorrere alla Provvidenza. 

L’occasione dell’Avvento è ghiotta!
Riscopriamo i due verbi, attesa e attenzione.

Hanno medesima radice, cioè “tendere a”, rivolgere mente e cuore a chi può darci vita, quella vera. È possibile volersi bene, non è utopia la gioia cristiana, non è impossibile vivere senza paure, senza dover rinunciare a nulla, senza dover nascondere o censurare la nostra umanità.
Utilizziamo quell'energia incontenibile che lo Spirito ci dona e della quale, spesso, non conosciamo l’esistenza.
Ricominciamo a vivere! Ogni mattina, ogni istante!
Tutti in cammino, per farci prossimi, Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso.
Abbreviamo le distanze tra cielo e terra, tra uomo e uomo, tra uomini e Dio.
Dice Isaia: “Perché lasci indurire il nostro cuore lontano da te”?
È come se fossimo tutti malati di “sclerocardia”!

Se avremo il cuore dolce in questo Avvento, saremo perdonati e torneremo a vivere. Ci allontaneremo da un’esistenza dormiente che non si cura di albe e tramonti, ma che è dominata dalle distrazioni di un mondo barbaro.
L’incontro con Cristo, con il Bimbo che sta per arrivare nell'umiltà di una grotta, è un’esperienza in grado di ridestare l’umano che c’è in ognuno di noi, dando il via al cammino decisivo dell’esistenza, verso quella felicità che il Signore ha promesso ad ogni uomo!

domenica 7 dicembre 2014

IMMACOLATA CONCEZIONE

Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38

Dal Libro della Genesi 
Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». 

Dal Vangelo di Luca 
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» 



Fu nel 1854, l’otto dicembre, che Pio IX proclamò Immacolata, cioè concepita senza peccato, la “donna vestita di sole”, la Vergine madre di Dio. Secoli prima la Chiesa d’Oriente già venerava ed esaltava la figura di Maria.

In Occidente fu necessario l’intervento dello Spirito Santo su questo papa per ufficializzare questa verità della Chiesa.
Quattro anni dopo, a conferma del dogma, si verificarono le prodigiose apparizioni della Vergine alla piccola Bernadette Soubirous, presso la grotta di Lourdes.

Nel cuore dell’Avvento, durante questo cammino di conversione e di attesa, ecco che la Chiesa ci propone il fulgido esempio di questa ragazzina libera da ogni macchia di peccato. La sua figura si staglia sull’attesa del Figlio di Dio a preannunciare la possibile vocazione di ognuno di noi alla santità, alla liberazione dal peccato.

La prima lettura tratta dal Libro della Genesi, ci ricorda quale sarebbe la nostra condizione se Maria avesse detto no alla richiesta dell’angelo Gabriele e dal suo grembo verginale e preservato non fosse nato il Bambino Salvatore del mondo.
La terra sarebbe diventata ostile, un giardino in cui l’uomo non sarebbe stato più il padrone ma l’inquilino di un luogo pericoloso. Si sarebbe nascosto agli occhi di Dio, tremando al suo “Dove sei?”.
Così come Adamo non è più “in Dio”, chiediamoci della nostra condizione. Siamo in Dio? O siamo nel peccato? Abbiamo tolto spazio nella nostra vita, anche in parte, alla bontà del Signore? Siamo nei vicoli ciechi dell’egoismo, dell’avidità, superbia, luoghi sbagliati dell’anima? Ecco che giunge a noi la grande luce di Dio.
Maria ci mostra il volto misericordioso del Signore.
Dal buio del cuore umano, descritto nella prima lettura , si passa alla luminosa seconda degli Efesini in cui, mirabilmente, si svolge quello che è stato definito “Il Magnificat” di Paolo.
L’Apostolo vive duri anni di prigionia, eppure scrive ai cristiani facendo prorompere dal petto un cantico di benedizione.
L’uomo che si nasconde nel giardino dell’Eden, spaventato e curvo per il peccato, si scopre ora creatura nuova, benedetta dal Signore, risultato dell’opera mirabile del Signore venuto in terra, attraverso il grembo dell’Immacolata. La Vergine Maria è lì, a indicarci la via della santità, della gioia, della realizzazione della nostra vita. Ecco l’invito per noi: camminiamo nell'amore a schiena dritta!

Ciò che l’angelo Gabriele dice a Maria nell'Annunciazione, Vangelo di Luca, lo dice anche a noi! Entrando da lei la chiama:
“Piena di grazia”. E continua: “Il Signore è con te”, espressione spesso usata nell’A.T. e che dovrebbe farci chiedere il contrario e cioè se noi siamo con il Signore! Maria è la creatura umana che Dio ha redento in modo perfetto. Il suo immacolato concepimento è una mirabile opera di grazia del Redentore e in lei ci offre il modello di vita da seguire. Lei rimane turbata ma non spaventata come accade a Adamo ed Eva.
Nella sua umiltà Maria si rende conto dell’enormità di ciò che Dio ha preparato per lei e, subito dopo, dal petto prorompe: ”Ecco, io vengo per fare la tua volontà”.

La Madonna è destinataria del dono gratuito dell’amore di Dio, ma lo siamo tutti noi! Il suo amore gigantesco e incontenibile ci ha ridonato vita, la libertà perduta col peccato e ora non dobbiamo più nasconderci come Adamo.
Questo grazie a Maria che con il suo “fiat” ha avvicinato il Cielo alla Terra, ridando vita al mondo che era ormai sterile. Il grembo avvizzito della vecchia Elisabetta è il simbolo di una umanità abbattuta dal peccato che riprende vigore nel suo Dio, attraverso la Madre per eccellenza. Maria si presenta a noi “tota pulchra”, tutta bella nella sua purezza , nella sua bellezza umile. Per amarla dobbiamo rendere concreto il desiderio di immergerci nella sua purezza, realizzando il miracolo della presenza di Maria in mezzo a noi.

Contempliamo la Vergine. Già nel seno materno, lei era pura e pervasa da luce divina. Lei è visione del Paradiso e ci sostiene nel cammino che ancora ci separa da questo estremo stato di grazia quando contempleremo faccia a faccia il nostro Signore e Dio. A questo deve tendere il nostro cuore affaticato dalle ombre della vita terrena. Bandiamo gli atteggiamenti da sconfitti. Noi siamo cristiani benedetti da Dio.

Il Magnificat di Maria è anche il nostro! Sentiamo si o no, l’ombra di Dio sulla nostra vita? Basta camminare su percorsi di morte. Scopriamo i tanti segni di vita, visibili che a volte non sappiamo scorgere. Grazie Maria del tuo si! Anche noi vogliamo dire si al nostro Signore!

giovedì 4 dicembre 2014

II DOMENICA DI AVVENTO CICLO B: L'ATTESA

Isaia 40,1-5.9-11; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8 

Dal libro del profeta Isaia 
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il Signore. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato». 

Dalla seconda lettera di san Pietro apostolo 
Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate d'essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. 

Dal vangelo secondo Marco 
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: "Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri", si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».

L’inizio del Vangelo di Marco è anche il suo finale.
L’Evangelista svela che Gesù è il Cristo, il Messia promesso.
Lo fa, quasi a scongiurare equivoci o per zittire i falsi profeti. Gesù è il Cristo, Figlio di Dio e per render chiaro questo messaggio di evidenza, mette insieme tre citazioni dell’A.T. dimostrando, seppur ce ne fosse bisogno che l’opera del più grande dei Profeti, il Battista, era abbondantemente già stata prevista nelle scritture profetiche.

Ce lo dicono questi tre testi densi di speranza, gioia e consolazione:
Esodo 23,20; Malachia 3,1; Isaia, 40,3.

Esodo: “Ecco io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e farti entrare nel luogo che ho preparato”.
Malachia: “Sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli dalle stalle”.
Isaia, infine, 40 di cui meditiamo uno stralcio nella prima lettura di questa domenica di Avvento e dove si parla al popolo in esilio a Babilonia, annunciando la prossima fine della schiavitù.

È necessario, dice Isaia, preparare una strada nel deserto per il ritorno degli esiliati.

Il deserto da attraversare ricorre anche nel Vangelo di Marco. Giovanni Battista opera in una landa squallida, in un deserto senza fine.
Il deserto è un luogo denso di significati nella Bibbia, rappresenta alleanze, liberazioni, prodigiosi annunci che in greco si chiamavano KERUSSEIN.
Per noi è semplicemente il luogo dell’annuncio di salvezza!
Il Battista l’annuncia da uomo ultimo, sporco, vestito di pelli animali e cibato di insetti e miele di roccia, beduino tra i beduini.
Eppure, in questa condizione precaria, porta a noi un nuovo Battesimo di conversione per accogliere, a cuore aperto, Colui che battezzerà in Spirito Santo.

La metafora di questa seconda di Avvento è la “strada”, la “via”. Siamo un popolo in cammino verso un luogo dove risuona la Parola di Dio.

Il cammino di Avvento, però, è quello della speranza.
Come i deportati di Babilonia che percorrono nelle lacrime il loro cammino duro da prigionieri in una strada che diventerà dritta e senza inciampi, nella gioia della liberazione, così anche per noi questo cammino di conversione porterà felicità e perdono del Signore.
L’editto del Re Ciro permise agli Ebrei di tornare in patria. A noi non serve un editto, è la venuta del Signore che di fatto ci libera dai legacci del passato.
Verrà il Signore, come pastore che guida il suo gregge adattandosi al cammino di ciascuno, portando “in braccio gli agnellini e conducendo pian piano le pecore madri”.

Noi dobbiamo fare la nostra parte! Abbassiamo quindi le colline della nostra superbia, del nostro credere di poter fare a meno del Signore.
Presentiamoci a Lui con cuore nuovo e riconciliato.
Arriverà presto Gesù, l’”Archè” greco, cioè il fondamento su cui costruire e ricominciare una vita più giusta e piena di Dio.

La Seconda Lettera di San Pietro pare ricordarci che questo tempo è carico della presenza del Signore. La promessa dei “cieli nuovi e terra nuova” dovrebbe generare in noi il desiderio di una vita nuova, di autentica santità. Pietro ci dona certezze.
Le cose possono cambiare in meglio. Più giustizia, più pace, più serenità. Dipende da noi e dalle nostre azioni non instaurare la legge del più forte, del prepotente, “rendendo dritta la strada storta”.

E comunque, Dio distruggerà la malvagità di questo mondo.
A noi non scoraggiarci di questa presunta lentezza del Signore.
Noi affrettiamo il suo intervento con la testimonianza, con il coraggio di cambiare le nostre abitudini grette. E come accade nelle prime comunità cristiane in cui qualcuno dubita dell’intervento divino, anche nella nostra epoca si moltiplicano i non credenti.
L’attesa del ritorno di Gesù non è questione di tempo ma di qualità dei giorni che ci sono concessi. A noi questo tempo è dato per utilizzarlo al fine di una conversione per “essere senza macchia al suo cospetto”.


Attualizziamo tutto ciò che abbiamo detto:
Chi non nutre speranza per il futuro e non lo attende con fiducia non riesce a vivere creativamente il suo presente. Nell'attesa paziente, fedele e fiduciosa dell’amato, capiamo quanto di bene Lui abbia colmato la nostra vita. Nell'attesa sappiamo trovare la via maestra verso la meta desiderata. Attraverso i profeti Dio ci parla, ci indica la sua presenza costante, ci invita a non tener conto di abitudini, pregiudizi, luoghi comuni del mondo di oggi.

Prendiamoci del tempo per riflettere sulle attese della nostra vita, per convertirci pienamente nel Signore.

sabato 29 novembre 2014

L'ATTESA: Prima domenica di Avvento ANNO B

Isaia 63, 16 b-17.19 64, 1-7; 1 Corinti 1,3-9; Marco 13,33-37 

Dal Libro di Isaia: 
Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato, sui quali il tuo nome non č stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi: 
Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza. 

Dal Vangelo secondo Marco: 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E` come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!". 


L’anno liturgico ciclo A si è appena concluso con l’invito pressante alla vigilanza e alla preghiera perché non è dato sapere quando il Signore ci chiamerà.
 Anche all'inizio dell’anno B e nella prima domenica di Avvento siamo invitati, attraverso le parole dell’evangelista Marco, a “vegliare”, vigilanti nell'attesa.
Questo è il tempo di attesa della nascita di Gesù e dobbiamo prepararci ad accogliere degnamente il Verbo che si incarna in mezzo a noi, tenendo fermo il pensiero sul Signore che viene. Possiamo farlo ritrovando il gusto della preghiera e nell'ascolto della Parola di Dio. Solo così possiamo instaurare un tempo di colloquio intenso con il nostro Creatore.
Attraverso la preghiera e la meditazione possiamo vivere costantemente la tensione buona dell’attesa, tenendo accesa in noi la lampada del desiderio del Signore. L’attesa operosa è foriera di cose nuove e sante.
Nella nostra vita ci prepariamo sempre ad un evento nuovo per poter poi godere di quella situazione quando arriva.
È stato così per l’attesa di un figlio, per il nostro matrimonio, o quando abbiamo programmato una vacanza tanto agognata.
Mesi di pensieri, sogni, desideri, anticipando gioie, gesti, parole e situazioni. È così anche per l’incontro con la persona amata, Gesù Salvatore.
Viviamo nella fiducia che esso sarà realtà.

Ecco l’invito dell’Avvento e del brano evangelico di Marco.
L’attesa ci impegna a orientare le nostre scelte funzione dell’incontro per dare senso e compimento al nostro agire. Qualcuno potrà vedere nelle parole evangeliche:
 “Vigilate perché non sapete quando sarà il momento preciso”, qualcosa di minaccioso e oscuro. Tutt'altro!
Il giorno e l’ora non ci viene detta semplicemente perché ogni momento della nostra esistenza è quello buono per aprirsi al Vangelo e impegnarvi la vita.
Non dobbiamo essere condizionati o, peggio, ossessionati dalle scadenze. Gesù ci vuole viventi e profondamente impegnati nell'ascolto e nel lavorio incessante per edificare il suo Regno sin dalla nostra vita terrena.
L’attesa dell’appuntamento con la salita al Cielo, nel Regno dei Beati, non deve darci ansia, trepidazione, ma gioia immensa e fiducia in Dio.

C’è un secondo insegnamento nel vangelo di Marco. Ci ripete di stare attenti.
Noi prestiamo attenzione a mille cose nella vita, al denaro, alla salute, al divertimento, alla guida in auto, a curare i nostri interessi.
Forse non rimane molta di questa attenzione per il nostro prossimo e per il Signore! Lui passa accanto a noi, nelle sembianze di un povero, di un sofferente e noi, presi dagli affanni e dalle attenzioni di cui sopra, non ce ne curiamo.
Anzi, siamo preda di un pessimismo profondo e non apprezziamo davvero la vita come dono. Riscopriamo quindi la virtù per eccellenza dell’Avvento: la speranza, il guardare con fiducia il futuro e con realismo il presente.
Dio è legato a noi a doppio filo, non può rimanere lontano dal suo servo

La prima bellissima lettura, tratta dagli scritti di Isaia, capitolo 63, ci porta a scoprire l’attesa desiderosa del popolo di Israele per le venuta del Messia, promesso e annunciato come prossimo dai profeti.
C’è un momento di grande intensità che è l’invocazione accorata del versetto 19: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi”.
Ancora profonde le parole cariche di desiderio:
“Ritorna per amore dei tuoi servi … mai si udì parlare di un Dio che abbia fatto tanto per chi confida in lui …”. I
l popolo è consapevole del suo peccato!
Chiede perdono con fiducia e dice:
 “Tu sei nostro Padre, noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.
 Queste bellissime parole, tutte da rileggere e meditare, ci offrono un suggerimento per la nostra preghiera e contemplazione:
 “Tu, Signore sei nostro Padre”. Tu hai voluto la nostra vita, ci hai affidato i fratelli.
Fa che chiunque venga a noi se ne vada sentendosi meglio perché ha visto la Tua bontà nei nostri occhi.
Non lasciarci cadere in balia del peccato, del sonno spirituale.
Fai che siamo capaci di essere autentici nel servizio, di saper ascoltare l’altro con pazienza, lasciandogli la possibilità di parlare.
Solo nell'atteggiamento dell’umiltà di ascolto potremo scendere dal nostro piedistallo per saper bussare con discrezione nella vita degli altri.
Tu che ci chiami servi, donaci di riconoscerci in Te che ti sei fatto servo per noi. La seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi di San Paolo, trova l’Apostolo che si rallegra con i cristiani di Corinto, comunità toccata dalla grazia di Dio in abbondanza di doni, perché vivono bene e intensamente l’attesa della venuta del Signore, il quale, quando verrà, li renderà irreprensibili, santi e immacolati.

Possa veramente Gesù, nel venire, fare questo per tutti noi! Purtroppo per noi l’attesa non piace molto al mondo di oggi. Nessuno pensa all'attesa come a una gioia. L’attesa si identifica come perdita di tempo, noia infinita, qualcosa da fuggire. È la cultura del nostro tempo fatta di velocità, di azione. Il verbo predominante è “agire”. Riscopriamo in questo tempo forte, la gioia di lasciare agire in noi quel Dio che non ci abbandona mai. Lasciamo agire la provvidenza, abbandoniamo il controllo esasperato del nostro futuro e viviamo l’attimo presente, l’unico che ci appartiene veramente, donandoci con la preghiera a Dio e con le opere ai fratelli.

Allora si che il nostro Avvento ci porterà cose nuove che andranno oltre le previsioni o l’immaginazione di ognuno di noi.

Ecco che San Paolo sembra dirci, attraverso le parole immortali dedicate ai fratelli Corinzi, che di Dio possiamo fidarci senza paura alcuna. Anche a noi sarà data la grazia che hanno ricevuto i Corinti e ci sarà donata la piena comunione con Lui.
Ma dobbiamo vivere intensamente e profondamente l’attesa.

D'altronde, l’Avvento ci ricorda in primo luogo che il nostro non è un Dio chiuso in se stesso ma è un Dio che viene verso di noi. Ci raggiunge con i Sacramenti, anche negli eventi della nostra vita, nelle prove e nelle sofferenze.
Come potrebbe essere altrimenti? Egli ci ha creato e ha cura di noi, siamo suoi, gli apparteniamo e ci ama profondamente.
 Cogliamo l’occasione per meditare, in questa prima di Avvento, che il Salvatore viene sotto le sembianze dei fratelli più piccoli.

Ecco il senso dell’”Evangeli Gaudium” di Francesco:
 “Usciamo con coraggio dalle nostre comodità, per raggiungere le periferie del mondo, lì dove i fratelli vivono nelle difficoltà”.
Solo così l’Avvento ci legherà profondamente a Gesù che viene. Solo così saremo servi fedeli. Il servo, secondo il Vangelo è uno che scrive sulla sabbia quello che dona e incide sulla pietra quello che riceve, è colui che appartiene alla razza di quanti, dopo aver fatto il loro turno dicono:
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”: (Luca 17,10)
Viviamo purtroppo in un lungo inverno di sentimenti inariditi e di narcisismo asfissiante, i cui miti sono l’auto realizzazione a ogni costo, l’auto gratificazione a qualsiasi prezzo. Noi camminiamo contro corrente.
Riscopriamo il Natale a cui ci prepariamo pensando che c’è più gioia nel sentirsi amati che nel venire compensati.

domenica 23 novembre 2014

Cristo Re dell'Universo: ultima domenica del T.O. Anno A

Prima Lettura – Ez 34, 11-12.15-17 Salmo Responsoriale – Sal 22 Seconda Lettura - 1Cor 15,20-26.28 Vangelo – Mt 25,31-46

Uno dei problemi che assillano l’umanità è che tutti sognano di essere grandi, di poter essere dei vincenti.
Il simbolo di questa potenza, della forza così agognata può essere un leone. Non di certo una pecora! Un giorno, un caro amico non credente, mi chiese se non fosse offensivo per un cristiano essere apostrofato col nome di pecora.
 Il salmo 22, in questa domenica del Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo, parla proprio di noi che siamo pecore e che ci affidiamo al buon Pastore che non ci fa mancare nulla e che ci porta su pascoli erbosi e tranquilli.
La pecora, animale pavido, senza nerbo, che ha bisogno di assistenza e guida, non può nella mentalità del mondo, essere simbolo di vincente.
La società con i suoi idoli non ammette debolezze.
Eppure questo salmo è attribuito a un re! Davide è un sovrano che avverte il desiderio di essere guidato e consigliato da Dio.
Chiede al Signore di essere aiutato per vincere i suoi nemici.
Il mio amico, certamente non illuminato dallo Spirito Santo, non riusciva a capire che nel profondo di ognuno di noi giace supina una piccola pecorella e che tutti a volte sentiamo l’esigenza di essere guidati per poter poi, a sua volta, guidare gli altri.

Abbiamo un senso di appartenenza, così com'era insito nel re Davide quando compose il salmo bellissimo.
Gesù è il Re dell’universo ma si appoggia completamente a Dio.
Noi confidiamo in lui come la pecora confida nel pastore. L’animale non si pone il problema di dove recarsi a pascolare. Pensa a tutto il pastore.
Le paure per il futuro sono in chi non ha il senso dell’appartenenza.
Dobbiamo solo scegliere il pezzetto di terra su cui brucare in tranquillità, nella gioia, in sicurezza. Noi pecorelle di Dio, apparteniamo al pastore ma siamo libere di pascolare.

Sul grande fondale dell’anno liturgico A, che oggi salutiamo per iniziare il tempo di Avvento, si stende una solenne rappresentazione del Cristo Re dell’universo che spesso abbiamo ammirato in molte absidi di grandi basiliche, assiso nel trono dei Cieli che abbraccia l’intero cosmo, ammantato di splendore. In una bella meditazione del cardinale Ravasi, si legge che “… il simbolo regale si sposa idealmente con quello pastorale tanto è vero che già Omero chiamava i sovrani, pastori delle nazioni”.

Nel caso di Cristo, come al solito, si stravolge la visione prettamente umana:
I re, la storia insegna, riescono a regnare solo mandando a morte qualcuno.
Gesù è il Re che affida se stesso al martirio per il suo popolo. E nel suo regno, non si contorna di corrotti cortigiani, di subdoli consiglieri, di potenti e prepotenti, ma di uomini illuminati, in grado di vivere la Parola:
“Chi vuol essere grande si faccia servo, chi vuol essere il primo si faccia ultimo”: (Marco 10, 42-44).

La regalità trionfale che si aspettano gli uomini stolti, viene soppiantata dalla visione di una regalità strana, inconsueta, misera, non legata al potere ma all'amore.
Dovrebbe essere una regalità che fallisce, secondo i canoni della storia, è invece un regno che si prende gioco del tempo e che testimonia la Verità, eliminando ingiustizie e violenze. E allora la Chiesa, opportunamente, apre la liturgia della Parola con la luminosa pagina di Ezechiele, questo grande profeta e sacerdote vissuto durante il periodo della caduta di Gerusalemme e della prima deportazione.

Il Signore appare come il Pastore del suo popolo in esilio, capace di dare speranza perché la Parola di Dio non viene mai meno. Il pastore non è distaccato, assente, sfruttatore delle sue pecore. Un trionfo di verbi nella lettura, indica la premura del sovrano Dio verso il popolo:
“cercare, curare, seguire passo dopo passo in rassegna, far riposare, cercare la perduta, ricondurre la smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, pascere …”.

È grande il progetto di salvezza che Dio ha disegnato per tutti noi!
Ne fanno parte coloro i quali hanno la forza di seguire le Beatitudini, dando cibo agli affamati, vesti agli ignudi, abbracci ai carcerati, amore per i fratelli scomodi, speranza per chi è malato, misericordia per chi sbaglia.
Al contrario, non ci può essere salvezza per chi ignora il grido della sofferenza nei fratelli, per chi vive per se stesso, sovrastato da gretto egoismo. La frase finale del brano di Ezechiele ci conduce dentro al Vangelo di Matteo dove, come in un dipinto di Caravaggio, gustiamo la grandiosa scena del Re Pastore che diventa giudice e dirà la frase che appare terribile per chi è in difetto di amore verso gli altri: “Ecco, io giudicherò tra pecora e pecora, tra montoni e capri”. Così come il grano verrà separato dalla zizzania destinata al fuoco, così le pecore saranno divise dai capri, simbolo dell’orgoglio che domina la mente degli uomini! Si svela ai nostri occhi lo scenario grandioso del Giudizio Universale.
L’ambiente che si immagina è maestoso: il trono, gli angeli in corte celeste e tutti noi convocati per il giudizio. Ecco che in noi la Parola di oggi, palesandoci una sentenza sulle nostre opere, ci invita alla scelta definitiva e decisiva per far parte del progetto di salvezza.
Dio ci attende, attende la nostra conversione.
Non è distante, relegato nei suoi palazzi celesti, al contrario è accanto a noi, ci sprona, fascia le nostre ferite, ci guida, ci riconduce sulla giusta via.

E allora, è necessario mettersi in gioco. Meditiamo sul fatto che siamo troppo convinti del nostro buon agire.
Ci adoperiamo davvero per realizzare, a seconda dei bisogni presenti nella realtà in cui viviamo, opere di misericordia concrete e continuate?
Sappiamo “sporcarci le mani” per servire davvero i bisognosi? O evitiamo di agire perché “non ci riguarda!”? Analizziamo i nostri atteggiamenti verso Dio. Sono di riconoscenza? Mettiamo nei nostri rapporti con gli altri, amore, fiducia, impegno quotidiano di coerenza?
Testimoniamo la maestà del Redentore, realizzandola sin d’ora come regno sulla terra?

Infine il senso della seconda lettura tratta dalla Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, riconduce al Regno con le parole: ”Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti. L’apostolo Paolo contrappone le figure di Adamo e di Gesù, il primo peccatore, il secondo dispensatore di vita per chi aderisce al suo progetto e costituisce con Lui un solo corpo e un solo Spirito.
Ecco cosa ricerca Paolo nelle sue parole, la perfetta unità in Dio. Attraverso questo Re dell’universo, quelli che sono di Cristo potranno lottare da vincenti, questa volta si, contro chi attenta allo splendore del Regno. Perché dalla sottomissione a Dio troveremo un valore indistruttibile! Concludiamo l’anno liturgico presentando al nostro Re i frutti dell’anno che finisce, riconoscendo la sua Presenza, il suo Aiuto e la sua Amicizia.

Lasciamolo regnare nella nostra vita e facciamoci permeare dalla Sua presenza divina.

domenica 16 novembre 2014

Santa Elisabetta d'Ungheria e San Ludovico campioni di Dio!

Santa Elisabetta d’Ungheria (1207-1231), principessa, giovane e santa 

Qual è la cosa più importante della nostra vita?
È tutto l’amore che non avremo dato alla fine; alla natura, agli uomini e a noi stessi.
È il bene che non abbiamo mai voluto fare, presi come siamo dal nostro egoismo, dal nostro operare per l’accumulo dei soldi e del potere su questa misera terra.
Il resto non ha granché di importanza.
Spesso non ci si rende conto di quanto magico sia il momento che viviamo e di che portata quell'attimo sarebbe se lo dedicassimo all'amore verso gli altri.

Ben lo sapeva Santa Elisabetta d’Ungheria, la patrona dell’Ordine Francescano Secolare, sovrana fuori dall'ordinario, che volle dedicare tutti i minuti della sua vita e i privilegi del suo regno alla cura amorevole degli ultimi.
Questa donna ha vissuto il Vangelo di Cristo nel suo stato di vita come principessa, sposa, madre di famiglia e poi giovane vedova.

Era nata in Ungheria nel 1207 dal re Andrea II e da Gertrude, morendo a soli 24 anni, nel 1231 in Germania. Nel 1221 sposò Ludovico, chiamato anche Luigi IV. Il marito di Elisabetta, però, qualche anno dopo partì per le Crociate con Federico II. Il sovrano morì a Otranto per una epidemia, lasciando Elisabetta con tre figli.

La mistica donna continuò una vita di solidarietà e povertà, offrendo tanti danari per la costruzione di un ospedale intitolato a San Francesco, il suo grande ideale di vita e, per questo, divenuta la patrona delle famiglie religiose scaturite dal carisma del Poverello.
Si fece lei stessa mendicante per i poveri, sperimentando su di lei l’indigenza, tanto che fu definita “Pauperum consolatrix”, consolatrice dei poveri e “Famelicorum reparatrix”, soccorritrice degli affamati.

Le figure eccezionali di santi, Ludovico e Elisabetta, questa coppia di reali senza corona di superbia ha reso visibile ciò che tutti dovremmo vedere perfettamente: se è vero che ogni essere umano è creato da Dio a Sua immagine, non è possibile pretendere di amare Dio e, contemporaneamente trascurare i bisogni o, addirittura disprezzare la Sua immagine sulla terra.

Elisabetta ha saputo farsi prossima, avvicinarsi, impegnarsi per essere accanto a ogni creatura sofferente, in modo creativo, concreto, così come è implicito nel verbo fare.

È giusto parlare di utopia quando si hanno esempi fulgidi come quello di questi due sovrani? Non è utopistico niente se abbiamo con noi la forza del Signore.
È lui il fondamento, la possibilità concreta del nostro amore per gli altri. Elisabetta, insieme al consorte, è giunta ai vertici della carità, seguendo l’esempio di San Francesco d’Assisi che, quasi prendendo i due per mano, li ha condotti al Signore attraverso la carità più pura, quella che supera la
logica della reciprocità, amo solo chi mi ricambia.

La figura di Santa Elisabetta, soprattutto per noi francescani secolari, in realtà per tutti, deve aiutarci a capire che l’altro, in quanto persona, è sempre un mistero e che noi dovremmo sforzarci di vedere chi ci sta vicino con “occhi nuovi”, fatti di rispetto, stupore, umiltà e amore.

sabato 15 novembre 2014

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: I talenti!

Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25, 14-30 

Meditando il Vangelo di Matteo, capitolo 25, che racconta la storia del padrone e dei talenti, nella 33 esima domenica del T. O. anno A, viene da pensare a quanto il mondo sarebbe ancora più ingiusto se, alla fine, non si fosse giudicati secondo il principio di questa parabola.

Due sono i temi importanti:

1) I doni che ogni persona riceve da Dio. Nessuno è solamente alunno e nessuno è solamente professore. Impariamo gli uni dagli altri.
2) L’atteggiamento con cui le persone si pongono davanti a Dio, dispensatore di doni.

Tutti dobbiamo confrontarci nella nostra vita con la storia descritta nella parabola. In premessa bisogna tenere conto del valore di questi talenti.
Uno di essi corrisponde, più o meno, a 35 chili d’oro. Da questo capiamo quant'è grande la fiducia di questo padrone nei confronti dei suoi servi.
A tutti costoro il padrone consegna dei talenti, a seconda delle loro capacità.
Quindi tutti sono trattati egualmente. Qualcuno obietterà che il numero dei talenti è diverso per ognuno dei servi e questo può sembrare ingiusto. Al contrario non c’è niente che sia ingiusto.
Chi riceve più talenti ha più lavoro da svolgere e se meditiamo attentamente, chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo, capiamo che i talenti che riceviamo non sono un dono personale ma devono essere investiti in opere per realizzare il progetto a cui si deve tendere e per cui siamo stati chiamati.
I primi due servi, ciascuno con le loro capacità, si sono messi in gioco e hanno raddoppiato il ricevuto.
L’ultimo servo, spaventato dalla possibilità di perdere il suo unico talento, lo sotterra ed evita di compromettersi.
Alla piena fiducia che i primi due dimostrano nei confronti del padrone e, soprattutto di se stessi, fa da contraltare il comportamento del terzo che vede nel padrone un despota pronto a punire e di cui non avere assolutamente fiducia.
La risposta del padrone è dura.
Apostrofa il servo infedele come malvagio e infingardo e gli toglie il talento, punendolo profondamente.

Il padrone ricchissimo è Gesù che ha fondato la Chiesa e si eclissa dando a ciascuno la forza, la grazia, i doni per poter operare il bene secondo le diverse possibilità. L’attività di tutti concorre al bene comune.
Chi tiene accantonate le ricchezze per avarizia o per ozio, o per timore di perderle, ne risponde al Signore come se le avesse sperperate.
Perché le ricchezze temporali devono fruttificare.
Un esempio, se lasciamo cento euro in tasca e non le facciamo circolare è semplice pezzo di carta, se circolano rappresentano un valore reale!

Qual è la chiave di lettura per noi? Qual è il messaggio bello e semplice, il buon annuncio per noi per viver meglio?
E poi, come meditare il versetto ermetico: “Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha”?
E, ancora: Perché il padrone non ha dato il talento sottratto al servo fannullone, a quello che ne aveva ricevuto di meno, dandolo, al contrario a chi ne aveva di più?

I talenti rappresentano le nostre inclinazioni da mettere al servizio degli altri, il nostro saper fare qualcosa da dedicare non solo a noi stessi ma al bene della società. Il servizio ai fratelli, la condivisione con tutti, rivelano la presenza di Dio in noi.
Il nostro crescere deve essere la crescita di tutti.
Chi è preso solo da se stesso si perderà e seppellirà il suo talento, senza metterlo a disposizione del prossimo.
 Il talento sottratto all'infingardo che non lo ha fatto fruttare va a quello che ne ha di più perché lui non è stato inoperoso e da cinque ne ha racimolati dieci.
Aveva un compito impegnativo ma si è dimostrato perfettamente capace di donarsi completamente per il raggiungimento del suo scopo!

A noi cosa vuol dirci questa parabola? Anzitutto ci inchioda alle nostre responsabilità: Chi siamo dei tre servi? Facciamo fruttare i nostri talenti al servizio di noi stessi o per gli altri? Riusciamo a vincere la nostra innata insofferenza verso le responsabilità che quotidianamente si presentano, vincendo l’egoismo e divenendo sempre più capaci di saperci donare con umiltà e semplicità? Aiutiamo la crescita del Regno di Dio, condividendo i suoi doni e collaborando alla conversione dei fratelli? Oppure li utilizziamo per i nostri progetti personali e non per il Signore?

Il tema centrale rimane sempre quello dell’accoglienza operosa del Regno. Si dovrebbe accostare questa parabola a quella delle “Dieci Vergini” (Mt 25, 1-13) e ancora a quella del “Giudizio Finale” (Mt 25, 31-46), storie dedicate alla venuta del Regno. Tutto arriva nel momento meno atteso.

È anche il senso dell’esortazione paolina contenuta nella seconda lettura tratta dalla Lettera ai Tessalonicesi: “Non dormiamo, vigiliamo e siamo sobri”.
Vigilare non significa essere in oziosa e snervante attesa ma significa lavorare per la gloria di Dio e il bene delle anime. Perché la venuta del giorno del Signore, la sua irruzione nella storia, determinerà la differenza tra i figli della Luce, quelli che si impegnano a far fruttare i loro talenti, lavorando, conducendo una vita decorosa aperta agli altri, e i Figli delle tenebre, coloro vinti dall'egoismo di un’esistenza lontana dall'essere comunitaria e attiva.

Per loro Dio sarà giudice severo, mentre per i figli luminosi sarà il Padre buono che salva attraverso il Figlio Gesù Cristo. La Prima Lettura, tratta da Proverbi, è dedicata alla donna sapiente.

Quale può essere la sapienza riferita alle mogli e alle mamme di oggi?
Si celebra lo spessore del lavoro sia domestico che esterno, l’impegno sociale nei confronti dei miseri, ma è soprattutto la ricchezza interiore la “perla” in cui “confida il cuore del marito” che viene inondato da felicità per tutti i giorni della sua vita. Il senso religioso della vita in una donna “timorata di Dio”, riempie di senso l’esistenza sia del coniuge che dei figli, che di coloro che incontrano una donna così.
Tutti intonano un canto di lode in ringraziamento per il dono di una sposa e di una madre così completa. D'altronde è noto che Dio regala gioia a chi produce amore nella semplicità delle cose di ogni giorno che contengono tutto il mistero del vivere: soffrire, essere felici, illudersi, smarrirsi e continuare, nonostante tutto, a camminare verso il Regno.

Il salmo 127 ricorda che il dono della moglie come vite feconda e dei figli come virgulti d’ulivo è per chi è beato agli occhi del Signore è Lui che dispensa ai suoi fedeli ogni bene.