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mercoledì 21 gennaio 2015

San Francesco e la lettera autografa a Frate Leone

"Frate Francesco servo e suddito di tutti, Vostro servo nel Signore Dio ... piccolo e spregevole!"
(FF 179-180, 210)

È noto a chi ha cercato di conoscere la vita di San Francesco, quale rapporto di amicizia e amore c’era fra il serafico Padre e Frate Leone.

Chi non ha approfondito questo legame forte può capire tutto, meditando la stupenda benedizione che l’uomo santo di Assisi dedicò al suo seguace più affezionato:
“Il Signore ti benedica e ti custodisca. Mostri a te la Sua faccia e abbia di te Misericordia. Volga a te il Suo sguardo e ti dia Pace”. 

A Spoleto, all'interno della bellissima basilica cattedrale, è custodito uno dei cimeli più importanti di San Francesco che testimonia quale grado d’intimità spirituale e di affetto legava i due frati: la celebre lettera autografa scritta di suo pugno dal santo nel 1224.
Si tratta di un prezioso "biglietto" che contiene semplicemente un consiglio su come piacere a Dio, nell'assoluta libertà di spirito.

Non si poteva scegliere un luogo migliore per custodire questo scritto.
Francesco era molto legato alla valle Spoletina.
Se vi recaste a Monteluco, sei chilometri dalla città, all'interno del famoso bosco sacro, luogo storico di eremitaggio sin dall'antichità, dove hanno pregato in cellette oggi rimaste come allora, anche San Bernardino e Sant'Antonio da Padova, c’è un bellissimo belvedere.
Qui un cippo riporta le parole di Francesco che, osservando il mosaico di campi coltivati della valle, esclamò:
 “Nil iucundius vidi valle mea Spoletana”, cioè: “Non ho visto niente di più giocondo della mia valle Spoletana”. Francesco aveva avuto il suo grande sogno proprio in queste contrade, dove la voce di Dio gli disse, riguardo al fatto che il giovane voleva recarsi nelle Puglie per combattere:
“Chi può esserti più utile, il servo o il padrone?”.
Francesco capì e si piegò docilmente al progetto di Dio per lui, rinnegando la sua volontà.

È indubbio che, dopo le sacre spoglie custodite e venerate nella cripta della basilica di Assisi, le reliquie più preziose siano i due documenti autografi che Francesco ha lasciato ai posteri.

Una è la cosiddetta “Chartula”, presente sempre nella basilica di Assisi, scritta dopo il grande fenomeno delle dolorose stimmate ricevute dal Poverello nel convento de La Verna, in mezzo alla grande foresta casentinese in Arezzo.

È famosa, oltre per la Benedizione di Frate Leone, per la grande preghiera delle “Lodi di Dio Altissimo”, uno dei momenti più grandi di meditazione contemplativa del santo, che vuole trasmettere al mondo lo stupore e le forti emozioni provate nell'estasi dell'impressione delle Sacre Stimmate.

L’altra autografa è proprio quella di Spoleto che un tempo era custodita nella chiesa minoritica di San Simone, salvata dall'incuria e oggi protetta in una teca nella cattedrale spoletina, all'interno della bella cappella delle reliquie.

È un piccolo foglio di pergamena che pare sia stata ricavata dalla pelle delle capre, che contiene poco più di una quindicina di righe ben conservate.
Dall'attenta lettura dello scritto si evince che si tratti proprio di pensieri francescani.
Il serafico Padre rinnova tutta la sua fraterna tenerezza nei confronti di Leone che attraversava un periodo di grande confusione e di crisi.
 Non stupisce tutto ciò.
La fraternità francescana era ormai luogo di numerose vocazioni.
Non si trattava più di uno sparuto gruppetto di fratini.
Il numero dei consacrati cresceva sempre più e non tutti gradivano la radicalità del progetto evangelico di Francesco.
L’Ordine non poteva più esimersi dalla pluralità delle idee, dalle diverse interpretazioni della fede, da discussioni e contrasti anche forti. Lo stesso Francesco era stato più volte messo in discussione, nonostante fosse stato il fondatore del movimento e l’indiscusso leader.

Leone, si capisce dallo scritto aveva avuto un colloquio privato e stretto con il suo amico Francesco, mentre camminavano insieme. Ora il frate sentiva il bisogno di un nuovo consulto che chiarisse le idee sul tipo di sequela cui Cristo lo chiamava, il vero significato della povertà evangelica su cui Francesco insisteva continuamente e su ciò che l’Ordine stesse diventando con tutte queste nuove adesioni da ogni parte d’Italia.
Forse Leone si faceva interprete del desiderio di molti altri compagni di poter avere certezze dal santo di Assisi.
Nella lettera, appare chiaro come Francesco vivesse in una dimensione estremamente più alta di tutti gli altri. Guarda ai problemi terreni con il distacco di chi sa che non è qui la vera vita cui tendere. Francesco termina dicendo a Leone che sia lui che gli altri, hanno carta bianca per comportarsi in qualunque modo sembrasse meglio per la loro vita.

La conclusione è meravigliosa e rende idea dell'intenso percorso di condivisione di ideali vissuto dei due: "Se credi necessario per il bene della tua anima venire da me, e lo vuoi, vieni Leone caro"!

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