Cerca nel blog

sabato 15 novembre 2014

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: I talenti!

Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25, 14-30 

Meditando il Vangelo di Matteo, capitolo 25, che racconta la storia del padrone e dei talenti, nella 33 esima domenica del T. O. anno A, viene da pensare a quanto il mondo sarebbe ancora più ingiusto se, alla fine, non si fosse giudicati secondo il principio di questa parabola.

Due sono i temi importanti:

1) I doni che ogni persona riceve da Dio. Nessuno è solamente alunno e nessuno è solamente professore. Impariamo gli uni dagli altri.
2) L’atteggiamento con cui le persone si pongono davanti a Dio, dispensatore di doni.

Tutti dobbiamo confrontarci nella nostra vita con la storia descritta nella parabola. In premessa bisogna tenere conto del valore di questi talenti.
Uno di essi corrisponde, più o meno, a 35 chili d’oro. Da questo capiamo quant'è grande la fiducia di questo padrone nei confronti dei suoi servi.
A tutti costoro il padrone consegna dei talenti, a seconda delle loro capacità.
Quindi tutti sono trattati egualmente. Qualcuno obietterà che il numero dei talenti è diverso per ognuno dei servi e questo può sembrare ingiusto. Al contrario non c’è niente che sia ingiusto.
Chi riceve più talenti ha più lavoro da svolgere e se meditiamo attentamente, chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo, capiamo che i talenti che riceviamo non sono un dono personale ma devono essere investiti in opere per realizzare il progetto a cui si deve tendere e per cui siamo stati chiamati.
I primi due servi, ciascuno con le loro capacità, si sono messi in gioco e hanno raddoppiato il ricevuto.
L’ultimo servo, spaventato dalla possibilità di perdere il suo unico talento, lo sotterra ed evita di compromettersi.
Alla piena fiducia che i primi due dimostrano nei confronti del padrone e, soprattutto di se stessi, fa da contraltare il comportamento del terzo che vede nel padrone un despota pronto a punire e di cui non avere assolutamente fiducia.
La risposta del padrone è dura.
Apostrofa il servo infedele come malvagio e infingardo e gli toglie il talento, punendolo profondamente.

Il padrone ricchissimo è Gesù che ha fondato la Chiesa e si eclissa dando a ciascuno la forza, la grazia, i doni per poter operare il bene secondo le diverse possibilità. L’attività di tutti concorre al bene comune.
Chi tiene accantonate le ricchezze per avarizia o per ozio, o per timore di perderle, ne risponde al Signore come se le avesse sperperate.
Perché le ricchezze temporali devono fruttificare.
Un esempio, se lasciamo cento euro in tasca e non le facciamo circolare è semplice pezzo di carta, se circolano rappresentano un valore reale!

Qual è la chiave di lettura per noi? Qual è il messaggio bello e semplice, il buon annuncio per noi per viver meglio?
E poi, come meditare il versetto ermetico: “Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha”?
E, ancora: Perché il padrone non ha dato il talento sottratto al servo fannullone, a quello che ne aveva ricevuto di meno, dandolo, al contrario a chi ne aveva di più?

I talenti rappresentano le nostre inclinazioni da mettere al servizio degli altri, il nostro saper fare qualcosa da dedicare non solo a noi stessi ma al bene della società. Il servizio ai fratelli, la condivisione con tutti, rivelano la presenza di Dio in noi.
Il nostro crescere deve essere la crescita di tutti.
Chi è preso solo da se stesso si perderà e seppellirà il suo talento, senza metterlo a disposizione del prossimo.
 Il talento sottratto all'infingardo che non lo ha fatto fruttare va a quello che ne ha di più perché lui non è stato inoperoso e da cinque ne ha racimolati dieci.
Aveva un compito impegnativo ma si è dimostrato perfettamente capace di donarsi completamente per il raggiungimento del suo scopo!

A noi cosa vuol dirci questa parabola? Anzitutto ci inchioda alle nostre responsabilità: Chi siamo dei tre servi? Facciamo fruttare i nostri talenti al servizio di noi stessi o per gli altri? Riusciamo a vincere la nostra innata insofferenza verso le responsabilità che quotidianamente si presentano, vincendo l’egoismo e divenendo sempre più capaci di saperci donare con umiltà e semplicità? Aiutiamo la crescita del Regno di Dio, condividendo i suoi doni e collaborando alla conversione dei fratelli? Oppure li utilizziamo per i nostri progetti personali e non per il Signore?

Il tema centrale rimane sempre quello dell’accoglienza operosa del Regno. Si dovrebbe accostare questa parabola a quella delle “Dieci Vergini” (Mt 25, 1-13) e ancora a quella del “Giudizio Finale” (Mt 25, 31-46), storie dedicate alla venuta del Regno. Tutto arriva nel momento meno atteso.

È anche il senso dell’esortazione paolina contenuta nella seconda lettura tratta dalla Lettera ai Tessalonicesi: “Non dormiamo, vigiliamo e siamo sobri”.
Vigilare non significa essere in oziosa e snervante attesa ma significa lavorare per la gloria di Dio e il bene delle anime. Perché la venuta del giorno del Signore, la sua irruzione nella storia, determinerà la differenza tra i figli della Luce, quelli che si impegnano a far fruttare i loro talenti, lavorando, conducendo una vita decorosa aperta agli altri, e i Figli delle tenebre, coloro vinti dall'egoismo di un’esistenza lontana dall'essere comunitaria e attiva.

Per loro Dio sarà giudice severo, mentre per i figli luminosi sarà il Padre buono che salva attraverso il Figlio Gesù Cristo. La Prima Lettura, tratta da Proverbi, è dedicata alla donna sapiente.

Quale può essere la sapienza riferita alle mogli e alle mamme di oggi?
Si celebra lo spessore del lavoro sia domestico che esterno, l’impegno sociale nei confronti dei miseri, ma è soprattutto la ricchezza interiore la “perla” in cui “confida il cuore del marito” che viene inondato da felicità per tutti i giorni della sua vita. Il senso religioso della vita in una donna “timorata di Dio”, riempie di senso l’esistenza sia del coniuge che dei figli, che di coloro che incontrano una donna così.
Tutti intonano un canto di lode in ringraziamento per il dono di una sposa e di una madre così completa. D'altronde è noto che Dio regala gioia a chi produce amore nella semplicità delle cose di ogni giorno che contengono tutto il mistero del vivere: soffrire, essere felici, illudersi, smarrirsi e continuare, nonostante tutto, a camminare verso il Regno.

Il salmo 127 ricorda che il dono della moglie come vite feconda e dei figli come virgulti d’ulivo è per chi è beato agli occhi del Signore è Lui che dispensa ai suoi fedeli ogni bene.

Nessun commento:

Posta un commento