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venerdì 7 novembre 2014

Dedicazione Basilica Lateranense: 32 esima T.O.

Ezechiele 47,1-2.8-9.12; Salmo 45; Corinzi 3,9 c 11.16-17; Giovanni 2,13-22 

La Dedicazione della Basilica Lateranense ci invita in questa domenica, a riflettere sugli edifici in pietra, costruiti dall'uomo per onorare il Salvatore.
Sono segni esteriori e sensibili della vittoria della fede cristiana sul paganesimo occidentale. Sono anche testimonianza viva dei tanti martiri dei primi secoli di cristianesimo.

La grande chiesa del Laterano, sede del vescovo di Roma, ricorda la conversione di Costantino, imperatore che nel 312 divenne cristiano e fece costruire questa grande basilica per ringraziare Dio del dono della fede.
Fu la prima chiesa consacrata pubblicamente e in seguito dedicata alle grandi figura del profeta San Giovanni Battista e dell’altro Giovanni l’Evangelista.
Si tennero al suo interno numerosi concili e oggi è il centro simbolico della comunione di tutte le chiese sparse nel mondo.

Pietre importanti quindi ma, come dice il profeta Ezechiele nella prima lettura, dovremmo meditare su un Dio che non è possibile imprigionare tra quattro mura seppur sacre!
Egli, infatti, è infinito e neppure la vastità dei cieli può contenerlo!
La città di Dio è incontenibile, come dice il salmo, rallegrata da corsi d’acqua pura e se noi saremo degni il nostro Signore non ci farà vacillare, ci soccorrerà a ogni difficoltà.
Rigenerato dalle acque del Battesimo, il popolo di Dio è in cammino verso la pienezza di una vita senza fine.
 Eppure, si medita tra le righe di questo brano profetico, che quando un popolo fedele si riunisce nel nome del Signore in una chiesa, anche la più piccola minuscola cappella, l’Onnipotente lascia di buon grado il suo luogo immenso, puro e sublime, calandosi nella realtà dell’umano, per incontrare e amare i suoi figli.

L’incontro con Dio ci fa diventare, così come si legge nella seconda lettura, di San Paolo ai Corinzi, noi stessi edifici di culto, tempio santo che contiene lo Spirito del Creatore.
Nessuno di noi, allora, può essere toccato perché nessuno può profanare la casa di Dio con atti vergognosi, neanche noi stessi con comportamenti deplorevoli. San Paolo, in altri scritti ricorda il nostro dovere di essere figli irreprensibili agli occhi di Dio.
Ma è tutto il Nuovo Testamento che ci invita, a più riprese, a compiere un passo ulteriore.
È all'interno della nostra vita e della nostra comunione con Cristo che troviamo lo spazio sacro più alto e santo per innalzare a Dio il nostro culto.
Paolo, tra le righe, dice che siamo noi stessi architetti e costruttori del tempio. Edifichiamo su di una pietra angolare che regge l’universo, il Cristo!
Noi siamo suoi manovali, a volte inesperti e goffi, che debbono comunque darsi da fare per difendere questo tempio in perenne costruzione, dai sabotatori, i maligni che vogliono abbatterlo e impedire l’edificazione di un giusto luogo di Dio.
Importante è che tutto il popolo di Dio sia unito e che non ci siano divisioni perché tutti insieme
formiamo questo tempio di Dio.

Il Vangelo di Giovanni è di fondamentale importanza.
Lo capiamo se ricordiamo che questo episodio, insieme a quelli della Morte e Risurrezione del Signore e la Moltiplicazione dei Pani, tutti e quattro gli Evangelisti lo ricomprendono nei loro scritti. Gesù ha iniziato la sua missione pubblica a Cana col primo miracolo, si ferma a Cafarnao e poi si dirige a Gerusalemme per la Pasqua.

Nella città santa avviene un episodio quasi sconcertante. Gesù, che abbiamo imparato a vedere mite uomo d’amore, appare così sdegnato da perdere quasi le staffe.
Al tono fermo della voce fa seguire subito dopo dei gesti forti: una frusta che schiocca, tavoli che vengono rovesciati, mercanti scacciati in malo modo dal tempio, insieme alle loro mercanzie, gettate fuori le mura sacre.
Gesù non sopporta che il tempio, segno della presenza stabile del Padre in mezzo al suo popolo, luogo sacro per eccellenza, venga profanato, trasformato in vile mercato, nella insana logica del profitto che infesta tutto il nostro misero mondo ancora oggi.
Il mercato ha il suo segno nel denaro, nel sopruso del ricco che può permettersi di spendere verso il povero. Certo, quel gesto furibondo acuisce lo scontro.
Il mercato assicurava a Caifa, sommo sacerdote ottimi introiti.
Il gesto di Gesù prelude al seguito del capitolo quando a Lui, che si professa Figlio di Dio, viene chiesto un segno che il Messia non vorrà dare.
I mercanti di allora sono oggi quelli che aprono le loro insegne domenicali, in centri commerciali in cui si riversano migliaia di famiglie che, anziché onorare il giorno dedicato al Signore, si votano al dio denaro, a un nuovo “vitello d’oro”. (Perché la reazione furibonda di Gesù è simile a quella di Mosè, quando scendendo dal Sinai con le Tavole del Decalogo, vede il popolo adorare dei inesistenti e respingere l’unico vero Signore del mondo!).
 “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato”.
E l’evangelista Marco rafforzerà il concetto nel capitolo 11, 17
“La mia casa sarà chiamata casa di preghiera”.
Luca dirà invece: “… e voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. (19, 45)

Comprendiamo il senso della parola “Casa del Padre”?
Se davvero capissimo avremmo in noi il desiderio bruciante di stare in chiesa e adorare il Signore nel suo tempio santo! Inoltre chiediamoci a quale livello dobbiamo collocarci per capire Gesù.

Il nostro cammino ha bisogno di catechesi se vogliamo penetrare il mistero del Cristo.
 Nella lettura del brano evangelico segue poi la grande, ennesima disputa del Salvatore con i Giudei circa la frase simbolo che annuncia il prodigio:
 “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere”.
Giovanni sente il bisogno di specificare che Egli parlava del tempio del suo corpo.
Non era possibile la comprensione per gli uditori che avevano nella mente e negli occhi i 46 anni occorsi per l’edificazione del grande tempio di Gerusalemme.
Le parole erano incomprensibili agli stessi Apostoli. Anch'essi brancolavano nel buio, senza rendersi conto che quello di Gesù, nel Vangelo giovanneo, era il primo annunzio della sua morte e resurrezione.
Nessuno capiva che il tempio di Gerusalemme o qualsiasi altro spazio sacro, può essere solo un segno, un simbolo che ci aiuta all'incontro con Dio, lo facilita ma non lo sostituisce.

Gesù lo incontriamo a prescindere dalle mura della chiesa, nei sacramenti, nei fratelli, particolarmente in quelli bisognosi.
Tutto questo è chiaro in noi? Noi capiamo il comportamento e le parole di Gesù? C’è in noi la passione insana del denaro? La ricchezza è il fine della nostra esistenza? O abbiamo qualche altro idolo nascosto? Sappiamo rinunciare al superfluo o a qualcosa che reputiamo importante per far posto unicamente a Gesù?

Il Vangelo di Giovanni si conclude con il verbo che più di ogni altro l’evangelista usa nei suoi scritti: videro e credettero!
A noi, cosa vuol dirci il Vangelo? Dal tempio in cui noi offriamo sacrifici spirituali, portiamo fuori coerenza di gesti, di scelte di vita?
Non è possibile pregare in chiesa e poi comportarci scorrettamente nei confronti dei fratelli. Inutili sono le elemosine, la carità spicciola, il falso perbenismo che operiamo credendo di avere coscienza a posto. Sono gesti che non ci salvano in caso di comportamenti squallidi.
 La nostra coerenza di vita è minacciata dalla fragilità e dobbiamo chiedere con fede di essere illuminati dallo spirito per discernere il bene dal male.

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