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domenica 23 novembre 2014

Cristo Re dell'Universo: ultima domenica del T.O. Anno A

Prima Lettura – Ez 34, 11-12.15-17 Salmo Responsoriale – Sal 22 Seconda Lettura - 1Cor 15,20-26.28 Vangelo – Mt 25,31-46

Uno dei problemi che assillano l’umanità è che tutti sognano di essere grandi, di poter essere dei vincenti.
Il simbolo di questa potenza, della forza così agognata può essere un leone. Non di certo una pecora! Un giorno, un caro amico non credente, mi chiese se non fosse offensivo per un cristiano essere apostrofato col nome di pecora.
 Il salmo 22, in questa domenica del Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo, parla proprio di noi che siamo pecore e che ci affidiamo al buon Pastore che non ci fa mancare nulla e che ci porta su pascoli erbosi e tranquilli.
La pecora, animale pavido, senza nerbo, che ha bisogno di assistenza e guida, non può nella mentalità del mondo, essere simbolo di vincente.
La società con i suoi idoli non ammette debolezze.
Eppure questo salmo è attribuito a un re! Davide è un sovrano che avverte il desiderio di essere guidato e consigliato da Dio.
Chiede al Signore di essere aiutato per vincere i suoi nemici.
Il mio amico, certamente non illuminato dallo Spirito Santo, non riusciva a capire che nel profondo di ognuno di noi giace supina una piccola pecorella e che tutti a volte sentiamo l’esigenza di essere guidati per poter poi, a sua volta, guidare gli altri.

Abbiamo un senso di appartenenza, così com'era insito nel re Davide quando compose il salmo bellissimo.
Gesù è il Re dell’universo ma si appoggia completamente a Dio.
Noi confidiamo in lui come la pecora confida nel pastore. L’animale non si pone il problema di dove recarsi a pascolare. Pensa a tutto il pastore.
Le paure per il futuro sono in chi non ha il senso dell’appartenenza.
Dobbiamo solo scegliere il pezzetto di terra su cui brucare in tranquillità, nella gioia, in sicurezza. Noi pecorelle di Dio, apparteniamo al pastore ma siamo libere di pascolare.

Sul grande fondale dell’anno liturgico A, che oggi salutiamo per iniziare il tempo di Avvento, si stende una solenne rappresentazione del Cristo Re dell’universo che spesso abbiamo ammirato in molte absidi di grandi basiliche, assiso nel trono dei Cieli che abbraccia l’intero cosmo, ammantato di splendore. In una bella meditazione del cardinale Ravasi, si legge che “… il simbolo regale si sposa idealmente con quello pastorale tanto è vero che già Omero chiamava i sovrani, pastori delle nazioni”.

Nel caso di Cristo, come al solito, si stravolge la visione prettamente umana:
I re, la storia insegna, riescono a regnare solo mandando a morte qualcuno.
Gesù è il Re che affida se stesso al martirio per il suo popolo. E nel suo regno, non si contorna di corrotti cortigiani, di subdoli consiglieri, di potenti e prepotenti, ma di uomini illuminati, in grado di vivere la Parola:
“Chi vuol essere grande si faccia servo, chi vuol essere il primo si faccia ultimo”: (Marco 10, 42-44).

La regalità trionfale che si aspettano gli uomini stolti, viene soppiantata dalla visione di una regalità strana, inconsueta, misera, non legata al potere ma all'amore.
Dovrebbe essere una regalità che fallisce, secondo i canoni della storia, è invece un regno che si prende gioco del tempo e che testimonia la Verità, eliminando ingiustizie e violenze. E allora la Chiesa, opportunamente, apre la liturgia della Parola con la luminosa pagina di Ezechiele, questo grande profeta e sacerdote vissuto durante il periodo della caduta di Gerusalemme e della prima deportazione.

Il Signore appare come il Pastore del suo popolo in esilio, capace di dare speranza perché la Parola di Dio non viene mai meno. Il pastore non è distaccato, assente, sfruttatore delle sue pecore. Un trionfo di verbi nella lettura, indica la premura del sovrano Dio verso il popolo:
“cercare, curare, seguire passo dopo passo in rassegna, far riposare, cercare la perduta, ricondurre la smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, pascere …”.

È grande il progetto di salvezza che Dio ha disegnato per tutti noi!
Ne fanno parte coloro i quali hanno la forza di seguire le Beatitudini, dando cibo agli affamati, vesti agli ignudi, abbracci ai carcerati, amore per i fratelli scomodi, speranza per chi è malato, misericordia per chi sbaglia.
Al contrario, non ci può essere salvezza per chi ignora il grido della sofferenza nei fratelli, per chi vive per se stesso, sovrastato da gretto egoismo. La frase finale del brano di Ezechiele ci conduce dentro al Vangelo di Matteo dove, come in un dipinto di Caravaggio, gustiamo la grandiosa scena del Re Pastore che diventa giudice e dirà la frase che appare terribile per chi è in difetto di amore verso gli altri: “Ecco, io giudicherò tra pecora e pecora, tra montoni e capri”. Così come il grano verrà separato dalla zizzania destinata al fuoco, così le pecore saranno divise dai capri, simbolo dell’orgoglio che domina la mente degli uomini! Si svela ai nostri occhi lo scenario grandioso del Giudizio Universale.
L’ambiente che si immagina è maestoso: il trono, gli angeli in corte celeste e tutti noi convocati per il giudizio. Ecco che in noi la Parola di oggi, palesandoci una sentenza sulle nostre opere, ci invita alla scelta definitiva e decisiva per far parte del progetto di salvezza.
Dio ci attende, attende la nostra conversione.
Non è distante, relegato nei suoi palazzi celesti, al contrario è accanto a noi, ci sprona, fascia le nostre ferite, ci guida, ci riconduce sulla giusta via.

E allora, è necessario mettersi in gioco. Meditiamo sul fatto che siamo troppo convinti del nostro buon agire.
Ci adoperiamo davvero per realizzare, a seconda dei bisogni presenti nella realtà in cui viviamo, opere di misericordia concrete e continuate?
Sappiamo “sporcarci le mani” per servire davvero i bisognosi? O evitiamo di agire perché “non ci riguarda!”? Analizziamo i nostri atteggiamenti verso Dio. Sono di riconoscenza? Mettiamo nei nostri rapporti con gli altri, amore, fiducia, impegno quotidiano di coerenza?
Testimoniamo la maestà del Redentore, realizzandola sin d’ora come regno sulla terra?

Infine il senso della seconda lettura tratta dalla Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, riconduce al Regno con le parole: ”Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti. L’apostolo Paolo contrappone le figure di Adamo e di Gesù, il primo peccatore, il secondo dispensatore di vita per chi aderisce al suo progetto e costituisce con Lui un solo corpo e un solo Spirito.
Ecco cosa ricerca Paolo nelle sue parole, la perfetta unità in Dio. Attraverso questo Re dell’universo, quelli che sono di Cristo potranno lottare da vincenti, questa volta si, contro chi attenta allo splendore del Regno. Perché dalla sottomissione a Dio troveremo un valore indistruttibile! Concludiamo l’anno liturgico presentando al nostro Re i frutti dell’anno che finisce, riconoscendo la sua Presenza, il suo Aiuto e la sua Amicizia.

Lasciamolo regnare nella nostra vita e facciamoci permeare dalla Sua presenza divina.

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