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mercoledì 17 dicembre 2014

Il valore ecumenico del presepe

Da alcuni anni, in gran parte delle scuole di Teramo e provincia si usa preparare un grande albero natalizio nell'atrio dell’edificio, ignorando il presepe e non valutando che l'abete agghindato a festa non rappresenta la nostra cultura, essendo tradizione proveniente dal nord Europa.

Ricordo con tenerezza che nella mia infanzia, la preparazione della rappresentazione della nascita di Gesù nelle scuole iniziava nel mese di novembre.
Ognuno degli studenti, con le proprie famiglie, dava il suo contributo affinché il presepe realizzato nell'Istituto risultasse il più bello o il più grande della città.
La rappresentazione della nascita di Gesù, costituiva, insomma, la festa nella festa.

Oggi molti presidi e insegnanti giustificano l’abolizione di questa grande intuizione di San Francesco a Greccio, affermando che i giovani sono ormai smaliziati e poco si interessano a queste “forme arcaiche di devozione”.

Un presepe a scuola potrebbe, secondo alcuni educatori moderni, urtare la suscettibilità degli studenti musulmani o di coloro i quali sono nel pieno diritto di non credere alla Buona Novella dell’Avvento del Salvatore.
Per rispettare e dimostrare sollecitudine verso le minoranze, insomma, per favorire un equilibrio culturale, tutelare la laicità, la neutralità religiosa e proteggere le differenze da integrare, dovremmo buttare secoli di tradizione di canti natalizi, stella cometa, divino Neonato, pecorelle e pastori.

E se, invece, con uno sforzo unitario, ribaltassimo il concetto e affermassimo che il Natale, grazie al presepe, ha buone possibilità di creare una festa condivisa sia dai cristiani che dai musulmani?
Se cominciassimo dalle nostre piccole realtà a formare le menti all'ecumenismo?
Potremmo tener conto anche dei momenti importanti per questi nostri fratelli e condividere anche le loro feste religiose.

E allora sarebbe barbino affermare che tutto potrebbe iniziare proprio dalle scuole? In questo caso il Natale diventerebbe un momento straordinario di condivisione spirituale, di partecipazione religiosa e di intesa umana fra diverse religioni.
Gli insegnanti potrebbero organizzare dei convegni dove tutti insieme, musulmani, non credenti, cristiani e fratelli con altro Dio in testa, potremmo discutere di come raggiungere il traguardo di una comune civiltà dell’uomo e del rispetto dovuto in quanto tale.

E quale sede istituzionale ideale potrebbe risultare migliore della scuola, deputata come nessun altra, a forgiare le menti e l’animo di coloro i quali un giorno rischiano di cadere preda di intolleranza nei confronti di altri uomini?

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