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giovedì 31 luglio 2014

Fiumi di pietra!

Tratto dal mio libro edito dalle Edizioni La Cassandra "Il mio Ararat" con la foto della vetta di Alessandro de Ruvo. 

“La tua casa è lì, dove sta il tuo cuore” (Plinio Il Vecchio) 

Parola d’ordine: viaggiare per conoscere la Creazione!
Le cinque regole d’oro del Marco Polo e il suo “Milione”, racconta Calvino per tutti i giramondo, impongono di conoscere la storia, i monumenti, i costumi, la fauna, la flora del luogo che si visita.

A volte immagino di essere un esploratore d’altri tempi , di accostare l’orecchio al suolo per scoprire cosa ci attende oltre.
È la sensazione che vive chi ama bighellonare attraverso la sua terra.

Per me il mondo è, innanzitutto roccia!
Credo che scavare la pietra, possederla, dominarla, è cercare e trovare Dio.
Dio è di pietra, la pietra è Dio. Perché la pietra è vita, è anima.

I luoghi aspri e selvaggi come il Gran Sasso mi rappresentano.
Comunicano il sogno di svegliarmi senza dover radere la barba, senza l’obbligo d’indossare una camicia ben stirata. Libero da convenzioni.
Il sogno, cari lettori, non va in vacanza, semmai s’inerpica in montagna con tenacia e passione.
Mi ha detto, più o meno così, il conosciuto dottor Speca, cardiologo a Teramo, in una bella giornata in ambiente in cui salivamo da ore verso la vetta di Pizzo di Moscio, sopra l’incantata foresta del bosco Martese del Ceppo.
Il posto è noto forse per gli episodi di guerra partigiana o per essere derivazione dell’antica via Metella, piuttosto che per quel paradiso in terra che rappresenta.
La sensazione che m’invade, ogni volta che ricordo questa foresta, è quella dell’immane fruscio rilasciato dai faggi alti come palazzi di quattro piani, ondeggianti per la furia del vento che gela il sudore sulla pelle. Giacinto Pannella, teramano famoso, agli inizi del ‘900 descriveva il bosco così: “a perdita d’occhio alberi e ancora alberi, senza sentiero alcuno”.

Nelle prime pagine di un libro memorabile, “La montagna incantata”, di Thomas Mann si legge:
“Per una salita ripida e costante che pare non debba finire mai, per una via scoscesa tra rocce selvagge, si monta davvero per l’alta montagna”.
Io non so se lo scrittore che fra l’altro i detrattori dicevano non avesse mai poggiato una mano su di una roccia, ma le labbra su di un bicchiere in osteria, infinite volte, metaforicamente abbia voluto parlare della vita e delle sue difficoltà.
So che per me la salita sui monti crea gioia infinita.
Che meraviglia vagabondare per cime tra prati, acque, sentieri!
Il mio “Abruzzo barbaro” è fatto di luoghi boschivi che incatenano l’anima.
Sono posti da amare sia con il sole, che con la brina che bagna la boscaglia, sia con il vento gelido, che attraversa montagne serene e rosee coperte di neve, sia con la nebbia, che incute terrore.
E quando sopra la testa passano gli uccelli a stormo perfetto, come aerei prodigiosi dalle ali fischianti, pare che il cuore scoppi per la gioia incontenibile di sentirti parte integrante dello spettacolo esaltante offerto dalla natura. Io non ho mai fatto arrampicata, ho vissuto la montagna con i piedi ben piantati a terra.

Credevo che i movimenti dei miei amici rocciatori fossero innaturali, quasi contorcimenti di lucertole impazzite.
Poi ho capito che chi si attacca ad una pietra non ha velleità di protagonismo ma, come afferma Mauro Corona, una vita spesa in ambiente, la roccia è una fasciatura, la garza che medica dallo stress della vita.

Per chi crede, la montagna è un luogo di Dio.
L’Antico Testamento vive i suoi momenti topici in alto.
Mosè fu il primo scalatore della storia. Salì innumerevoli volte sulle cime, l’ultima, il Sinai, per ricevere le tavole della Legge.
Sul monte Nebo (però siamo a soli 870 metri di altezza circa), guardò, struggendosi l’animo, la terra promessa negatagli. Poi morì, volando in alto.

Così pure Gesù, nel Nuovo Testamento sale su vette impervie pur di isolarsi al cospetto del Padre.
E allora dico che coloro i quali rispettano la montagna, amano il Creatore e la natura per loro è pura grazia nelle mani del Signore.

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