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giovedì 17 luglio 2014

La Verna, da oltre 800 anni un dono per tutti. “Altro Monte non ha più santo il mondo”

 Beatitudine!
Ecco la sensazione che si prova appena messo piede nel convento della Verna, sul monte santo dove il Cristo stimmatizzò Padre Francesco, accogliendo la preghiera del santo: “O Signore mio Gesù … che io senta quel dolore che tu sostenesti nell'ora buia della tua Passione …”

Il poverello d’Assisi in quest’oasi di pace aretina è presente ovunque.
 Così com'era presente ovunque in vita a portare il messaggio di un Dio innamorato degli uomini, fino in Dalmazia, Spagna, Medio Oriente. Lo è, in particolar modo, nella Cappella delle Sacre Stimmate, là dove raggiunse il suo personale Tabor, il Calvario della sua completa immedesimazione con l’”Amato”, quel Cristo che sconquassò il suo cuore troppo piccolo per contenere tutto l’amore di un Dio sorprendente.
Francesco è ovunque, affascinante come non mai.
A ogni passo che si percorre all'interno di questo luogo che è un viaggio nella spiritualità, lo vedi accanto come la propria ombra.
Tutto intorno, nient’altro che natura, meravigliosa essenza della bellezza munifica del Creatore. Non poteva essere altrimenti ripensando a un uomo che è stato cantore dei benefici del sole che scalda, dell’acqua che disseta, delle creature, dono del Signore. Francesco è accanto a chi visita con cuore puro questo luogo. Apre gli occhi di chi non è capace di ammirare compiutamente tanta meraviglia dentro e fuori il convento: abeti che svettano dritti, dritti verso il cielo, aceri, faggi, frassini, un mondo verde a formare una foresta incantevole.
 La Verna è un luogo di Dio donato a Francesco più di ottocento anni fa, dal conte Orlando Cattani della Rocca di Chiusi.
Nel 1213, a San Leo, il nobile intuì, sicuramente sotto influsso divino, che quel luogo di rocce aguzze, perso nel bosco, sarebbe diventato in breve tempo casa di Dio per orazione, contemplazione e penitenza.
Da allora, tutti e non solo i francescani, che salgono sul monte, hanno diritto di sperare in un incontro dell’anima, trovando la piena autenticità del carisma nell'esempio fulgido della conformità al Cristo del santo
più amato nel mondo.

La Verna è un luogo dove, seppur schiacciato dalla folla di fedeli che incessantemente riempie i viottoli del convento, ognuno può cogliere il silenzio, ascoltare una piccola voce, dal canto di un uccello, al bramito di un cervo, al fruscio del vento leggero che attraversa il polmone verde delle foreste Casentinesi.
Sono le più autentiche armonie di un creato che fa salire al cielo l’offerta al Creatore di un palpito del cuore delle creature in perenne lode al Signore dell’universo.
Chi sale questo monte benedetto è stanco delle molte parole che, quotidianamente si riversano su di noi, anela alla chiarezza, alla pace, al silenzio, alla tacita quiete di Dio, origine da cui tutti noi proveniamo. Perché il silenzio c’è dato. È una condizione che percepiamo, di cui siamo circondati e che noi copriamo con i nostri rumori, senza però spegnerlo.

 Io lo confesso in sincerità. La Verna mi è rimasta nel cuore.
Ho sentito come non mai la mia appartenenza alla famiglia francescana.
Ho percepito nei gangli della mia anima la presenza di Francesco e, sopra di lui, quella del Cristo.
E ho capito meglio anche il mio rapporto con il santo d’Assisi.
Io e lui, due realtà veramente diverse e, nello stesso tempo, uguali.
Lui un santo, e che santo! Io un peccatore a volte pentito, a volte ignaro, a volte indolente che segue il piccolo fraticello umbro nella grande utopia meravigliosa di raggiungere, almeno in piccola parte, la sua santità. Lui innamorato di Cristo nei fatti tanto da definirlo “il bene, tutto il bene, il sommo bene” (FF 161). Io, amante del nostro Dio nelle parole, distratto fatalmente dal mondo che mi circonda.
Lui, Francesco, in grado di vedere il Maestro in ogni piccola bellezza di Madre Natura nell'antica foresta. Io, innamorato del creato ma, spesso incapace di codificare compiutamente il messaggio che invia un fiore, un albero, una montagna erta, un fiume impetuoso.
Lui, il santo delle creature, festeggiato da nugoli di uccelli, da lupi, improvvisamente mansueti, dal più grande al più piccolo degli esseri nati da Dio. Io, perso tra le mie superbie a credermi il padrone dell’universo.
Lui, Francesco, in grado di rinunziare senza tentennamenti a tutte le ricchezze per vestire Madonna Povertà con un saio liso e stretto in vita da una corda logora ricca di nodi, un cappuccio, un largo mantello strappato in più punti e piedi scalzi anche con la neve, protetti solo da semplici sandali. Io sempre a lamentarmi dei soldi che non bastano mai.
Lui, campione di umiltà, “vilissimo vermine e disutile servo” (FF 1915). Io campione di orgoglio cieco e altezzoso.

 Che emozione indicibile, guardare, nella chiesa madre del convento, la reliquia della veste del santo. Che sensazione d’impotenza sbirciare nell'anfratto di roccia dove poggiava sulla pietra la sua testa dopo aver a lungo ringraziato il Dio dell’universo e suscitato il desiderio di Lui ai tanti che incontrava, addormentandosi in “perfetta letizia”.

Che grande onore essere comunque in viaggio da anni, insieme a un uomo che a ragione si può definire “Alter Christus”, simbolo perenne di pace, riconciliazione e fraternità, meravigliosa icona di una città dell’uomo in cui regni sovrano l’amore vero!
Evviva Francesco!

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