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sabato 26 luglio 2014

Il discepolo

Immagino così spesso di parlare con Dio di essermi convinto nell'intimo di conoscere il suo sogno ricorrente. Credo che il Signore desideri sorpassare il cammino di ogni uomo per attenderlo alla frontiera con il sorriso stampato sul volto.
 Noi siamo ignari di tutto ciò.
Fin quando non siamo chiamati ad alzarci, non conosceremo la nostra altezza. Ma se riusciamo ad alzarci davvero, la nostra statura sarà al cielo. Lo scriveva Dickinson, autore di molti libri immortali, non certo io con la mia inutile penna.
 Però di una cosa sono certo. Ho sempre anelato ad alzarmi.
È come se mi sentissi chiamato all'infinito, tipo una vela che si spiega per catturare il vento.
Questo desiderio di una vita verticale mi ha portato sopra quasi tutte le cime abruzzesi, convinto com'ero che si trattasse di amore per la montagna.
Certo, era anche quello, ma dopo molti anni ho capito che, inconsciamente, avevo dentro la parola della Bibbia rivolta a tutti gli uomini: “Alzati e và!”. Io ce l’avevo dentro perché dono di Dio e non per mio merito. Tutti noi abbiamo una forza di gravità che non è solo terrestre ma chiamerei celeste che ci attrae verso l’alto. Tutti, dico, proprio tutti.
 Qualcuno non sa di avere questa propulsione verso le altezze dei cieli. E allora viene governato erroneamente dalla forza di gravità terrestre che tende a livellarlo verso il basso e a farlo rimanere a testa in giù come un baccalà appeso a seccare.
Eppure sin da bimbi, appena ne abbiamo le forze, tendiamo a stare ritti in alto che sembriamo aghi di una bussola il cui nord è sull'immensità dei cieli.
Tutto il creato tende a Lui. Le maree si sollevano al ritmo che detta la volta celeste con le sue forze, l’albero sale verso l’alto chiamato dalla luce che manda il Creatore, così la spiga che cresce, si alza lentamente ma inesorabilmente per donare forza a chi la farà diventare pane.
Nel Vangelo non a caso si parla di come noi dovremmo essere lievito per gli altri per far salire la pasta della carità. La nostra vitalità, con buona pace degli agnostici, tende ad una vita maggiore, più grande che è ben sopra le nostre teste.
Noi siamo come fiori di campo il cui corpo sfiorisce ma che lasciano profumo intenso, nota viva di gioia nel mondo.
Una cosa fantastica, credetemi, della quale non ci rendiamo conto quasi mai, presi dalle vicissitudini dell’esistenza terrena dove forze del male vorrebbero atterrirci con la paura dell’economia che va a rotoli, del futuro che è nebuloso, della possibilità di ammalarsi e soffrire o di dover fare a meno di una persona cara.
Fateci caso. I giornalisti su carta stampata o sui Tg televisivi ci atterriscono con profezie catastrofiche che ci deprimono, buttando ombre inquiete sui prossimi anni della nostra vita. In tutto il loro vocabolario e nello stile forbito che indubbiamente hanno nello scrivere articoli, non esiste una parola che si chiama Provvidenza. Neanche un sinonimo che ci si avvicini. Eppure ogni paura di cui soffriamo è contro la volontà di Dio e la Parola lo ribadisce molte volte.

Mi chiedo spesso perché Dio dopo avermi fatto dono della fede abbia voluto contornarmi di amici non credenti. Se faccio la conta delle persone a cui voglio più bene, quasi tutti sono da considerarsi atei convinti più o meno.
Un giorno il mio amico Francesco, anche lui privo di fede, mi disse che la religione tende ad annullare la volontà degli esseri.
Noi che crediamo saremmo marionette nelle mani di Dio, seppure esistesse, che si divertirebbe a tirare i fili della nostra vita. Allora non risposi perché le nostre convinzioni erano troppo lontane, distanti anni luce l’un dall'altra. Se leggerà questo scritto saprà la mia risposta.

Cristo non è venuto in terra per soggiogarci alla sua volontà, né per renderci schiavi ma liberi di essere Dio. Perché nessun sistema di pensiero, nessuna teoria sulla vita potrà snaturare la natura dell’uomo che è, come dice la Bibbia, l’essere simile a Dio.

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