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giovedì 2 ottobre 2014

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Isaia 5, 1-7; Filippesi 4, 6-9; Matteo 21, 33-43; salmo 79/80 

La liturgia della Parola della XXVII domenica del T. O., nella sua seconda lettura, riporta le ultime esortazioni di Paolo alla comunità di Filippi.
 Una di queste ammonizioni, in particolare, colpisce tutti noi che corriamo e ci affanniamo ogni giorno: 
“Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste”. 

 Colpisce soprattutto la grande fede dell’Apostolo.
Lui non ha dubbio alcuno sulla Provvidenza, sull'intervento del Signore nella vita di ognuno di noi. Paolo è un germe vivo di speranza, un uomo che ha saputo porre in atto la Parola di Dio, portandola a tutti come messaggio di vita.
 Beati noi se riuscissimo a porre in atto ciò che ci viene consigliato.
 La Parola di Dio, in molte situazioni, soprattutto nei salmi, ricorda che non bisogna porre la propria speranza sugli uomini.
Siamo polvere che il vento disperde, cosa crediamo di poter fare?
Anche in più passi dei Vangeli, Gesù non manca spesso di istruirci all'affido dei nostri affanni a quella Provvidenza che si chiama Spirito Santo.
Dice che a Dio si affidano anche le piccole esistenze degli uccelli del cielo che non ammassano cibo per il futuro o sostanze, o ancora dei gigli del campo che, senza far niente, diventano belli nei colori e nelle forme, grazie all'intervento del Creatore.

“Di tutte queste cose- ammonisce il Signore- vanno in cerca i pagani … non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, di quello che indosserete … (Mt6, 25-34).

Come è vera questa Parola in un mondo d’oggi dove ovunque si trasmette sfiducia, timori per il futuro, pessimismo e rassegnazione.
La nostra vitalità deve tendere ad una vita maggiore, più grande che è ben sopra le nostre teste.
Noi siamo come fiori di campo il cui corpo sfiorisce ma che lasciano profumo intenso, nota viva di gioia nel mondo.
 Una cosa fantastica, credetemi, della quale non ci rendiamo conto quasi mai, presi dalle vicissitudini dell’esistenza terrena dove forze del male vorrebbero atterrirci con la paura dell’economia che va a rotoli, del futuro che è nebuloso, della possibilità di ammalarsi e soffrire o di dover fare a meno di una persona cara. Fateci caso.
 I giornalisti su carta stampata o sui Tg televisivi ci spaventano con profezie catastrofiche che deprimono gli animi, buttando ombre inquiete sui prossimi anni della nostra vita. In tutto il loro vocabolario e nello stile forbito che indubbiamente hanno nello scrivere articoli, non esiste una parola che si chiama Provvidenza.
Neanche un sinonimo che ci si avvicini. Si azzerano quasi le aspettative verso l’intervento di Dio.
Il proverbio che diceva “aiutati che Dio ti aiuta”, oggi è cambiato in “aiutati che Dio non c’è”. Eppure ogni paura di cui soffriamo è contro la volontà di Dio e la Parola lo ribadisce molte volte.

 Il messaggio quindi è forte e chiaro: nel nostro cuore e nella nostra mente ci deve essere la certezza dell’intervento di Dio.
Sarebbe consolante fare tutto come se dipendesse da noi stessi, ma sapendo bene che tutto dipende da Dio che opera per il nostro meglio. A volte il nostro meglio non è quello che crediamo, ricordiamoci le parole di Dio di due settimane fa: “Le mie vie non sono le vostre vie …”. Continua Paolo nelle esortazioni e nei consigli ricordando che la preghiera genera serenità e gioia anche in mezzo alle angustie.
Non è il mondo a darci pace, dato che non è in grado di offricela ma è la grazia di Dio che si spande in chi prega.
C’è comunque bisogno del nostro impegno quotidiano e l’Apostolo dice che “quello che avete imparato da me mettetele in pratica e avrete pace …”.

Occorre una mente libera dalle angustie del mondo per ricevere le sollecitazioni del Signore e dare spazio a pensieri edificanti.
E il pensiero che può liberarci dalle angustie è questo: Nessuno è ordinario. Ogni essere umano è straordinario perché Dio non ha creato persone inutili. Siamo tutti speciali per merito di Dio. E il nostro Creatore mai ci abbandonerebbe.
Non abbiamo bisogno di essere un grande pittore, un leader, non abbiamo bisogno di essere grandi, lo siamo già!

 Con la prima lettura di Isaia, siamo davanti a un capolavoro della poesia ebraica che inizia quasi come parabola piacevole, riposante, per terminare in un crescendo inquietante fatto di delusione e di attesa frustrata. Già secoli prima si insinua il giudizio severo del padrone che, con amore dissoda, sgombra di pietre la sua vigna, la colma di viti pregiate per far sì che produca frutti buoni. Incredibilmente la vigna dà acini acerbi. Naturalmente l’allegoria è chiara.
La vigna del Signore è il popolo infedele di Israele, colmato di doni che restituisce solo del male. Siamo noi la vigna che produce frutti acerbi.
Il Signore è lì che aspetta un buon raccolto dalla nostra vita. Lo ribadisce il salmo dove si alza la preghiera di chi si pente della sua condotta e urla:
 “Da te non ci allontaneremo mai più … fai splendere il tuo volto e saremo salvi … visita questa vigna e proteggi quello che la tua destra ha piantato “.

 Il Vangelo di Matteo continua con una nuova parabola sulla vigna che contiene solenni avvertimenti alle autorità religiose d’Israele, le cui macchinazioni contro Gesù sono denunciate apertamente dal Figlio di Dio.
Il brano del Vangelo proclamato in questa Ventisettesima Domenica del Tempo Ordinario corrisponde ai versetti 33-43 tratti dal capitolo 21 del Vangelo di Matteo
 Questa parabola si trova anche negli altri Vangeli sinottici ed in particolare nel Vangelo di Marco, 12, 1-12 e Luca 20,9-19.
Viene proclamata da Gesù nel contesto dei discorsi nel Tempio di Gerusalemme e quindi è rivolta alle persone nel Tempio compreso i sacerdoti, i capi del popolo e la gente comune. Da un punto di vista cronologico siamo nella settimana che precede la Passione. Nella vigna accade una vera e propria storia di violenza, un crescendo di comportamenti non giustificabili, un delirio che non trova motivazione.
Gli assassini, dopo aver bastonato a morte i contadini inviati dal padrone, decidono di fare violenza anche al figlio del padrone, proprio perché l’erede, e cosi: “lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”.

I vignaioli omicidi sono i capi religiosi di Israele. Il loro atteggiamento vile non ostacolerà la salvezza. Essi rifiutano l’appello alla conversione e su di loro pende il giudizio inesorabile di Dio. Non potranno arrestare il cammino di salvezza perché il vero Israele è fatto di fedeli e poveri del Signore. Sono loro i veri appartenenti al popolo di Dio, diversi tra loro per razza, cultura e mentalità ma uniti nel nome di Cristo.
Per ottenere la salvezza, anche noi dovremo riconoscere che Cristo è la pietra angolare sulla quale poggiare la nostra vita!

Qui diventa palese l’ammonimento del Vangelo:
 ”Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?", 
chiede Gesù a chi lo ascoltava allora nel Tempio ed ora a noi attraverso la Parola. La risposta è ovvia: i contadini verranno puniti e sostituiti con chi darà onestamente la sua parte di frutti. E badate bene non può esserci altra risposta... anche gli interlocutori di allora non possono che affermare in questo senso la giustizia dei fatti.

La considerazione da fare per la nostra vita è: Noi, servitori della vigna, siamo fedeli oppure servitori “assassini”…
Siamo in grado di fare posto a Gesù, il figlio del padrone, nella nostra vita? Questo approccio attualizza il Vangelo proclamato in questa domenica alla nostra vita.

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