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venerdì 10 ottobre 2014

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A

"La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni"
Isaia 25,6-10°; Salmo 22/23; Filippesi 4,12-14 19-21, Matteo 22, 1-14 

L’arte di vivere, ma anche quella di morire, praticamente la stessa cosa, consiste nel darsi un fine che valga, più di ogni altro e nell'adeguare le azioni che si compiono in esso.
Per elementare coerenza non dovremmo perderci nelle miserie quotidiane che rischiano di soffocarci e ci impediscono di sollevare gli occhi.
Spesso, invece, passiamo il tempo così, tra affanni quotidiani e preghiere dette male.
Non ci rendiamo conto del mistero in cui siamo immersi.
È comunque una via scomoda quella di stare nel mondo senza cedere allo spirito del mondo, con la capacità di spogliarsi di una mondanità facile, per abbracciare il vero Regno dei Cieli.

Le parabole che ci introducono nel Regno di Dio, regalano nei Vangeli, momenti di gioia che aiutano a convertire i nostri cuori opulenti.
Ma, occorre ricordarlo, raggiungiamo questo Regno solo aderendo a Cristo spogliato e umiliato in tutto, crocifisso e risorto.

Nel vangelo di questa 28 domenica del T. O. 22esimo capitolo di Matteo, il Regno è come una festa che Dio Padre ha organizzato per invitare gli amici alle nozze di suo Figlio con tutta l’umanità. Gesù intende convolare a nozze per fecondarci della sua grazia.
Secondo gli usi orientali, le nozze si celebravano con un banchetto nuziale e se erano regali, i servi portavano a ciascuno un abito di circostanza, per accrescere splendore alla festa.
Il Signore aveva invitato gli Ebrei alle nozze eleggendoli come prima famiglia della sua Chiesa. Invece essi si erano concentrati in una vita materiale, deridendo e, a volte, uccidendo i profeti che,
man mano si erano presentati per conto di Dio.

Attualizzando la Parola:
Accettando l’invito, ognuno di noi partecipa al grande piano della salvezza universale, facendo parte della grande chiesa, del grande popolo di Dio, o meglio, come insegnava la parabola di domenica scorsa, della sua grande vigna che produce frutti buoni.
Ma qui dobbiamo essere ancor più onesti e chiederci:
“In quali personaggi ci riconosciamo nella parabola?”.
Siamo quelli che rifiutano l’invito come coloro che si ostinano a non credere al messaggio di salvezza, alla buona notizia che porta il Vangelo?
O addirittura siamo quelli che credono a intermittenza, a volte si e a volte no?
Noi con inevitabili alti e bassi, abbiamo la fede e non possiamo certo riconoscerci in queste figure, tanto meno in quella del commensale allontanato che non indossa vesti appropriate per la festa. L’invitato senza abbigliamento consono rappresenta tutti coloro i quali pretendono di far parte della festa senza mutare abito, cioè senza uniformarsi allo spirito nuovo chiesto da Dio, senza cambiare il cuore di pietra in uno di carne!
Viene cacciato nelle tenebre di una vita estranea alla grazia.
Noi dobbiamo ambire a essere i servi di Dio, quelli inviati dal padrone per invitare alle nozze gli amici, i buoni come i cattivi.

Dobbiamo portare tutti alla festa del Regno dei Cieli, attraverso le nostre opere buone, i nostri esempi. San Francesco ambiva proprio a questo: trasportare tutti, ma proprio tutti, al cospetto di Dio, nei cieli eterni!
Se avessimo la piena coscienza di questo grande compito, non perderemmo neanche un minuto per portare a compimento l’opera di Dio.

La parabola si conclude con Gesù che ammonisce che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.
Certo il Signore ha mille porte di misericordia per salvare tanti, ma gli eletti sono i santi, coloro che hanno vissuto veramente la Parola.
E questi sono veramente pochi. Il piano di Dio non prevede privilegiati al banchetto ma una teoria di personaggi che nel mondo ebreo non avrebbero trovato posto a tavola: poveri, sofferenti, emarginati. 

Anche la prima lettura tratta dal Libro di Isaia, capitolo 25, racconta di un banchetto.
Siamo davanti a uno dei capitoli del Secondo Isaia.
Sul monte Sion il Signore prepara un pranzo sontuoso, regale.
Siamo tutti invitati, tutti gli uomini di ogni epoca.
Prima di accedere al banchetto, dobbiamo solo liberarci della cecità che opprime i nostri occhi, quel velo di lacrime che appanna la vista, frutto della miseria umana, la paura della morte.
Il nostro Dio regalerà gioia eterna.
La sua mano si poserà sul monte della vita, regalando felicità.
 Allora si che abiteremo per sempre nella casa del Signore, come promette il Salmo 22. Il nostro Dio ci guiderà per il giusto cammino, il suo bastone e il suo vincastro ci daranno sicurezza e Lui preparerà
una mensa regale per tutti noi.

La seconda lettura propone la conclusione della lunga lettera ai Filippesi di Paolo che ci ha accompagnato in diverse domeniche.
L’apostolo si dice pronto a tutto, sa vivere nella povertà come nell'abbondanza.
Ha con sé il Cristo, “Colui che mi dà la forza”.
Benché sia nuovamente prigioniero, nulla può togliere a Paolo la gioia, perché nulla può togliergli Cristo.

Come lui, dovremmo imparare ad essere contenti, qualunque siano le circostanze: successo o difficoltà, salute o malattia, bello o cattivo tempo, se siamo “contenti del Signore”.

Per concludere: Raccogliamo l’invito alle nozze di Dio. Viviamo con pace e amore i nostri giorni con un vestito adeguato che è la buona vita, con un cuore aperto a Dio, senza allarmarci ad ogni cambio di stagione, abituandoci, come dice Paolo sia alla fame che alla sazietà.
 Rivestiamoci di Cristo e rechiamoci con gioia alla festa del Regno.

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